A seguito cel conseguimento all’estero (Spagna) del titolo è necessario effettuare in Italia un’istanza al Ministero dell’Istruzione ai sensi della direttiva 2013/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013 (relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali), mentre il Ministero dell’Università e della ricerca è tenuto solo a rendere un parere endo-procedimentale (Tar Lazio – Roma n. 7521/2022), per il riconoscimento del proprio titolo come abilitante per il sostegno al fine di potersi iscrivere, a pieno titolo, nelle graduatorie scolastiche di interesse.
Il termine per la conclusione del procedimento di riconoscimento del titolo per l’abilitazione all’insegnamento di sostegno fissato dalla direttiva 2005/36/CE, recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 206/2007, peraltro, non può essere superiore a quattro mesi dalla data di presentazione della relativa domanda, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del D.lgs. 206/2007 (Tar Lazio – Roma n. 7521 cit.).
A fronte di tale istanza il ministero, potrà emettere decreto di rigetto poiché “non è possibile riconoscere all’istante la qualifica professionale di docente, se non documentata, attraverso il richiesto attestato di competenza (ACREDITACION) reso dal Ministero spagnolo (Autorità competente) ai sensi della direttiva 2013/55/CE, di essere già abilitata all’insegnamento in Spagna”.
Infatti il ministero distingue tra il riconoscimento di un corso post-universitario svolto all’estero e valido in Italia come percorso di studio, e il riconoscimento della qualifica professionale di docente, che avviene solo alle condizioni stabilite dalla suddetta Direttiva europea. Se l’obiettivo è riconoscere la qualifica professionale di docente già in essere all’estero, l’autorità competente straniera (il Ministero dell’istruzione spagnolo) deve dichiarare nell’attestazione di competenza professionale che l’istante ha accesso all’insegnamento di una determinata disciplina a una determinata fascia d’età di alunni. (Tar Lazio – Roma n. 4024/2021).
Deve però rilevarsi che la giurisprudenza più recente ha invece riconosciuto uno spiraglio a favore dei docenti.
Infatti se l’istante non è in possesso di abilitazione all’estero e dunque anche ove la direttiva non fosse applicabile per mancanza dell’abilitazione all’estero, in attuazione degli artt. 45 e 49 TFUE “le autorità di uno Stato membro – alle quali un cittadino dell’Unione abbia presentato domanda di autorizzazione all’esercizio di una professione il cui accesso, secondo la legislazione nazionale, è subordinato al possesso di un diploma o di una qualifica professionale, o anche a periodi di esperienza pratica – sono tenute a prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli, nonché l’esperienza pertinente dell’interessato, procedendo a un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalle legislazione nazionale” (v., da ultimo, Corte di Giustizia, sez. VI, 8 luglio 2021 in C-166/2020, punto 34, che richiama la precedente giurisprudenza europea; v. di recente anche sentenza Corte di Giustizia, sez. II, 6 ottobre 2015, in C-298/14).
Secondo tale giurisprudenza europea (v. punti 39, 40 e 41 della sentenza citata), “qualora l’esame comparativo dei titoli accerti che le conoscenze e le qualifiche attestate dal titolo straniero corrispondono a quelle richieste dalle disposizioni nazionali, lo Stato membro ospitante è tenuto a riconoscere che tale titolo soddisfa le condizioni da queste imposte. Se, invece, a seguito di tale confronto emerge una corrispondenza solo parziale tra tali conoscenze e qualifiche, detto Stato membro ha il diritto di pretendere che l’interessato dimostri di aver maturato le conoscenze e le qualifiche mancanti (sentenza del 6 ottobre 2015, Brouillard, C298/14, EU:C:2015:652, punto 57 e giurisprudenza citata). A tal riguardo, spetta alle autorità nazionali competenti valutare se le conoscenze acquisite nello Stato membro ospitante nel contesto, segnatamente, di un’esperienza pratica, siano valide ai fini dell’accertamento del possesso delle conoscenze mancanti (sentenza del 6 ottobre 2015, Brouillard, C298/14, EU:C:2015:652, punto 58 e giurisprudenza ivi citata). Invece, se detto esame comparativo evidenzia differenze sostanziali tra la formazione seguita dal richiedente e la formazione richiesta nello Stato membro ospitante, le autorità competenti possono fissare misure di compensazione per colmare tali differenze”.
Pertanto, anche ove non risulti che il titolo di formazione conseguito dall’interessata le consente di svolgere l’attività di insegnante di sostegno in Spagna, l’amministrazione è comunque tenuta a prendere in considerazione il titolo medesimo al fine di consentire l’accesso alla professione in Italia, verificando se vi sia corrispondenza tra la formazione svolta e quella richiesta dalla normativa nazionale e pretendendo eventualmente la dimostrazione delle conoscenze e delle qualifiche mancanti o imponendo misure compensative (Tar Lazio – Roma n. 6320/2022).
In particolare l’amministrazione, dopo aver esaminato il percorso professionale dell’istante e i titoli da questo conseguiti, attesta che tali titoli permettono l’esercizio della professione di docente nelle scuole. Subordina, tuttavia, il riconoscimento al superamento di misure compensative costituite da una prova attitudinale o dal compimento di un tirocinio di adattamento a scelta dell’interessato.
Come noto, nella determinazione delle misure compesative l’amministrazione, ferma l’esigenza di una completa e puntuale motivazione, è titolare di ampia discrezionalità e il giudice amministrativo non può sostituire la propria valutazione a quella dell’amministrazione, potendo e dovendo tuttavia esaminare il percorso motivazionale dell’amministrazione al fine di verificarne la logicità e coerenza, nonché la ragionevolezza e la proporzionalità delle scelte effettuate.
L’amministrazione condiziona il riconoscimento a una prova attitudinale, la cui previsione e disciplina appare logica, coerente e finalizzata a consentire al richiedente di provare le proprie capacità e conoscenze. La prova può anche essere estremamente gravosa, tanto più che il percorso abilitativo svolto dall’istante dovrebbe integrare una preparazione sufficiente per consentirgli un agevole superamento della prova abilitativa.
Per quanto concerne il tirocinio di adattamento, ad esempio (cfr. Tar Lazio – Roma n. 7268/2021) se ne prevede la durata di due anni scolastici, per non meno di 600 ore da svolgere presso un Istituto Tecnico del settore economico.
Il tirocinio deve essere funzionale all’adattamento dell’istante e a completare un percorso professionale già svolto in altro paese dell’Unione europea, nel caso in cui difettino alcuni aspetti o requisiti del percorso professionale svolto, nonché al fine di mantenere un determinato livello qualitativo all’interno del corpo docente italiano, conforme alla preparazione ottenuta all’esito del percorso attitudinale svolto in Italia. Tuttavia, nel caso di specie, la previsione di un tirocinio di due anni non appare rispondente ai requisiti di ragionevolezza e proporzionalità. Nella motivazione del provvedimento, da un lato, non si giustifica e non si esplica l’iter logico seguito dall’amministrazione per ritenere coerente tale durata e, dall’altro lato, la durata di due anni è quella ordinariamente prevista per conseguire l’abilitazione da parte dei docenti che siano privi di titoli abilitativi. Ne discende che la previsione di un percorso di due anni azzera in sostanza l’esperienza svolta all’estero e, in mancanza di adeguata motivazione sul punto, appare contrastante con i principi di ragionevolezza e proporzionalità cui deve attenersi l’amministrazione nella propria attività provvedimentale con conseguente annullamento, in parte qua, del provvedimento impugnato e obbligo per l’amministrazione di rideterminare il percorso professionale necessario nel rispetto dei citati principi (cfr. Tar Lazio – Roma n. 7268 cit.).