Misura sanzionatoria in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato: proporzionalità, effettività e dissuasività.
La sentenza N. 691/2015 resa dal Tribunale di Latina in data 30/06/2015 affronta la problematica della reiterazione dei contratti di incarico annuali conferiti ai docenti su posti vacanti ed avverso la quale prassi si sono instaurati una serie di contenziosi volti ad accertare la illegittimità del termine apposto onde vedersi riconosciuto il diritto non solo alla stabilizzazione del posto di lavoro ma altresì tutti i consequenziali benefici economici a titolo di differenze retributiva quali ad esempio le varie mensilità luglio/agosto (laddove l’incarico fosse fino al 30/06), TFR e ferie non godute sulle differenze retributive, scatti biennali di anzianità e ricostruzione di carriera.
Anche se la sentenza in esame costituisce una sostanziale affermazione circa l’abuso della illimitata reiterazione dei contratti di lavoro a tempo determinato nel comparto scuola, il Giudice adito, tuttavia, non ha ritenuto di condividere l’orientamento secondo cui il rimedio per far fronte a tale abuso sarebbe dovuto essere quello della conversione del contratto a tempo indeterminato con le conseguenti provvidenze economiche, all’uopo stabilendo il solo rimedio risarcitorio quantificato in due mensilità per ogni anno supplenza annuale.
Alla luce della giurisprudenza successiva al sentenza della CGE, sarebbe stata auspicabile una pronuncia conforme a quella resa dal Foro di Napoli nel gennaio 2015 la quale, con un meticoloso percorso logico-argomentativo, è giunta a conclusioni maggiormente favorevoli per i docenti precari.
D’altro canto, volendo richiamare principi e pronunce conferenti in subiecta materia, mettendo a sistema le statuizioni delle cause Papalia e Mascolo, per la CGE o si costituisce il rapporto di lavoro ex art. 5, comma 4-bis, del d.lgs. 368/01 o, nel settore pubblico, vi è violazione del diritto eurounitario, in assenza di valida misura ostativa alla illegittima reiterazione dei rapporti di lavoro a termine con la P.A.. Non costituisce infatti idonea misura ostativa il risarcimento del danno.
È ben vero che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali non consenta neanche la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi in contratto o rapporto di lavoro a tempo indeterminato, essendo esclusa l’applicazione dell’articolo 5, comma 4 bis, del decreto legislativo n. 368/2001 alla scuola statale ma detta conclusione vale dalla riforma del 2011 in poi (art. 10, comma 4-bis, del d.lgs. 368/01 introdotto dall’art 9, comma 18, del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106). Al contrario il caso di specie riguardava contratti illegittimamente reiterati in periodi ampiamente precedenti.
Di conseguenza, una pronuncia positiva in favore della conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, avrebbe comportato rilevanti conseguenze anche in ordine al profilo economico.
Invero, la ragione oggettiva utile alla differenziazione del trattamento economico deve risiedere in una ragione oggettiva diversa dalla esistenza di disposizione normativa o dalla organizzazione del servizio, ma in una oggettiva e proporzionale (principio di proporzionalità sempre presente nell’Ordinamento dell’UE) differenza del rapporto o della prestazione; ovviamente diversa dalla mera temporaneità del rapporto (che la disposizione esclude come atta a fondare una differenziazione, imponendo per questa sola ragione la uguaglianza retributiva).
Non a caso, non emerge da alcuna disposizione normativa che è richiesta ed esigibile dal personale non di ruolo una prestazione qualitativamente diversa, per cui la ragione giustificatrice deve stimarsi insussistente.
Inoltre, il modello organizzativo delle supplenze, adottato dallo Stato italiano non può costituire giustificazione della diversità di trattamento, perché espressamente esclusa dalla clausola 4 della Direttiva 70/1999, che vieta una giustificazione basata sulla circostanza che il rapporto di lavoro sia, per scelta del datore di lavoro, a termine.
Neppure può ritenersi, come da relazione illustrativa del D.L. n. 134 del 2009, che il regime specifico delle supplenze nel mondo della scuola è caratterizzato da una disciplina separata e speciale rispetto a quella generale dei contratti a tempo determinato, atteso che i periodi di supplenza riguardano distinti contratti di lavoro e, per questa ragione, il trattamento economico dei supplenti deve essere riferito, per ciascun periodo di supplenza, allo stipendio iniziale del docente in ruolo, non potendosi configurare per il personale non di ruolo alcuna progressione di carriera, posto che la circostanza che si tratta di plurimi contratti a termine non è di per sé sufficiente a giustificare un diverso regime retributivo, per come già affermato dalla CGE in varie pronunce.
Ultima conseguenza sarebbe dovuta essere il diritto dell’istante alla ricostruzione della propria carriera con il conteggio, a fini economici e normativi, della anzianità di servizio per il periodo pre-ruolo in maniera integrale.
La sentenza in esame, che di certo sarà oggetto di gravame da parte del docente ai fini del riconoscimento della conversione dei contratti a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato con ogni conseguenza in termini economici e di ricostruzione di carriera, in ogni caso ribadisce la sostanziale affermazione circa l’abuso della illimitata reiterazione dei contratti di lavoro a tempo determinato nel comparto scuola.
Non si dimentichi che proprio la CGE ebbe modo di ribadire il principio granitico secondo cui la misura sanzionatoria in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato deve essere proporzionata, effettiva e dissuasiva.
Avv.to Daniele Golini