Tribunale di Foggia – Ordinanza del 20-07-2010

Docente avvocato – divieto di cui all’art. 1 co. 56 bis della legge 662/1996 – patrocinio contro l’amministrazione scolastica – interpretazione restrittiva – insussistenza di incompatibilità.

 

Sotto un primo profilo la Corte Costituzionale sembra nettamente orientata verso un’interpretazione restrittiva del divieto di cui all’art. 1 co. 56 bis della legge 662/l996, ritenendolo applicabile ai soli dipendenti ad orario ridotto.

Sotto altro profilo la più recente disciplina della professione forense (L. 339/2003) rinvia ai limiti ed ai divieti imposti agli avvocati dal decreto regio n. 1578/1933, nel quale espressamente si esclude l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e l’attività di insegnante di scuola secondaria, senza che venga in alcun modo circoscritta l’eccezione alle sole controversie in cui non sia parte l’Amministrazione Scolastica.

(conferma Ordinanza del Giudice del Lavoro di Foggia del 24.05.10)

 

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Proc. n. 11871/010 Ruolo Reclami

TRIBUNALE DI FOGGIA
SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA

Il Tribunale, nella seguente composizione:

Dott. Luca Buonvino – PRESIDENTE
Dott. Marina Chiddo – GIUDICE
Dott. Rosa Del Prete – GIUDICE rel.

Sentite le parti in Camera di Consiglio alla udienza del 14.07.2010
Sciogliendo la riserva in tale sede espressa sul reclamo proposto – con ricorso del 21-06-2010 – da

ISTITUTO SCOLASTICO SUPERIORE “[omissis]” di [omissis], in persona del legale rapp.te p.t., rapp.to e difeso dall’Avvocatura dello Stato di Bari, elett.te dom.to in Bari, Via Melo 97

nei confronti di

XXX, rapp.to e difeso dagli avv.ti [omissis], elett.te dom.to in Foggia Via [omissis]

Avente ad oggetto:

l’ordinanza del 24.5.2010 con al quale il Giudice del Lavoro accoglieva il ricorso promosso ex art. 700 cpc dall’attuale reclamato

OSSERVA

La questione giuridica controversa attiene all’operatività del divieto di cui all’art. 1 co. 56 bis della legge 662/1996 nei confronti del personale docente degli istituti di istruzione secondaria e nell’ambito di questi del personale full-time.

Più in generale, la res dubia attiene al regime delle incompatibilità dei dipendenti pubblici, del quale occorre richiamare il quadro normativo di riferimento.

Il T.U. 165/01, all’art. 53, disciplinando le incompatibilità professionali, pone per i pubblici dipendenti un divieto di svolgimento di altri incarichi retribuiti, avente natura “relativa”, ovvero superabile con il rilascio di un’autorizzazione amministrativa preventiva. Nella norma è confluito l’art. 58 del D.Lgs, 29/93, che, a sua volta, lasciava in vigore gli artt. 89-93 del D.P.R. 417/74, relativo proprio al personale scolastico. Restano ancora in vigore, per l’espressa previsione dell’art. 53, le disposizioni afferenti il regime dell’incompatibilità dettate, per il personale docente, direttivo e ispettivo della scuola dall’art. 58 D.Lgs 297/1994; in particolare, pur essendo, in generale, il personale della scuola assoggettato ad una disciplina dell’incompatibilità analoga a quella dettata per gli impiegati civili dello Stato, è consentito ai soli docenti – informatone il Preside o il Direttore Didattico – di impartire lezioni private nei confronti degli allievi che non frequentano l’istituto cui il docente appartiene; ai medesimi docenti, previa autorizzazione, è consentito pure l’esercizio di attività professionale, purché senza pregiudizio della funzione.

Il caso in esame rientra in questa seconda ipotesi.

Il rapporto di lavoro con il datore pubblico è storicamente caratterizzato, a differenza di quello privato, dal c.d. regime delle incompatibilità, in base al quale al dipendente pubblico, nei limiti precisati in prosieguo, è preclusa la possibilità di svolgere attività commerciali, industriali, imprenditoriali (anche agricole) artigiane e professionali in costanza di rapporto di lavoro con il datore pubblico. La ratio di tale divieto, che permane anche in un sistema “contrattualizzato” a rimarcare la peculiarità dell’impiego presso la p.a., va rinvenuta nel principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa in favore del datore pubblico (“I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” art. 98 Cost.), per preservare le energie del lavoratore e per tutelare il buon andamento della p.a., che risulterebbe turbato dall’espletamento da parte di propri dipendenti di attività imprenditoriali caratterizzate da un nesso tra lavoro, rischio e profitto. Centri di interesse alternativi all’ufficio pubblico rivestito, implicanti un’attività caratterizzata da intensità, continuità e professionalità, potrebbero turbare la regolarità del servizio o attenuare l’indipendenza del lavoratore e il prestigio della p.a.

Stante l’esclusività ex lege delle prestazioni in favore del datore di lavoro, ne consegue che il professionista alle dipendenze di pubbliche amministrazioni non può fornire prestazioni professionali in favore dei privati, se non nei casi consentiti dalla legge e con l’autorizzazione dell’Amministrazione: in tal caso le norme che autorizzano l’esercizio della professione assumono carattere di deroga eccezionale.

Tali sono anche le norme applicabili nel comparto della pubblica istruzione di cui al D.Lgs 297/1994 sopra richiamato.

La facoltà di espletare, dietro autorizzazione, ulteriori attività trova fondamento nell’arricchimento culturale prodotto, appunto, dall’esercizio professionale.

Dalla documentazione agli atti, risulta il rilascio di un’autorizzazione relativa allo svolgimento di “attività forense”, su domanda dell’interessato, dalla quale risulta valutato positivamente il rispetto dei limiti all’esercizio dell’attività professionale, ovvero l’assenza di intralci all’attività didattica e la compatibilità con gli orari di lavoro.

Nulla questio, dunque, in merito alla possibilità per il ricorrente di esercitare l’attività forense, alla luce della predetta disciplina e dell’autorizzazione in atti.

Il punctum dolens attiene alla necessità di rinunziare al patrocinio nelle controversie in cui è parte l’Amministrazione Scolastica ai sensi dell’art. 1 co. 56 bis legge 662/1996.

Orbene, sulla lettura della norma è intervenuta la C. Costituzionale che ne ha ristretto l’ambito applicativo ai dipendenti pubblici part-time: “In tale ambito si colloca anche la disciplina del part-time come compiutamente delineata “anche attraverso la riscrittura delle regole relative alle incompatibilità, già poste dal decreto legislativo n. 29 del 1993” (sentenza n. 171 del 1999), dalla più recente normativa. A tal riguardo vanno segnatamente considerati proprio il comma 56 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996, che ha apportato “una decisiva modifica ad uno dei canoni fondamentali del rapporto di impiego pubblico, e cioè quello dell’esclusività della prestazione”, ed il comma 56 bis (successivamente aggiunto dall’art, 6 del d.l. n. 79 del 1997), che “ha completato il disegno legislativo disponendo l’abrogazione (e non più l’inapplicabilità) di tutte le norme che vietano al pubblici dipendenti a part-time l’iscrizione ad albi professionali e l’esercizio di altre prestazioni di lavoro” (ancora la sentenza n. 171 del 1999). Ne è derivato un sistema che non solo non reca “pregiudizio al corretto funzionamento degli uffici”, essendo, anzi, diretto “a privilegiare. in modo non irragionevole, il valore dell’efficienza della pubblica amministrazione” (sempre la ricordata sentenza n. 171 del 1999), ma non compromette nemmeno i principia evocati dal rimettente a sostegno della sollevata questione. Nell’elidere il vincolo di esclusività della prestazione in favore del datore di lavoro pubblico, il legislatore, proprio per evitare eventuali conflitti di interessi, ha provveduto, infatti, a porre direttamente (ovvero ha consentito alle amministrazioni di porre) rigorosi limiti all’esercizio, da parte del dipendente che richieda il regime di part-time ridotto, di ulteriori attività lavorative e, in particolare, di quella professionale forense” (C. Cost. 189/2001).

La Corte sembra nettamente orientata verso un’interpretazione restrittiva della norma, ritenendola applicabile ai soli dipendenti ad orario ridotto, tra i quali non rientra il ricorrente.

D’altro canto la più recente disciplina della professione forense (L. 339/2003) rinvia ai limiti ed ai divieti imposti agli avvocati dal decreto regio n. 1578/1933, nel quale espressamente si esclude l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e l’attività di insegnante di scuola secondaria, senza che venga in alcun modo circoscritta l’eccezione alle sole controversie in cui non sia parte l’Amministrazione Scolastica.

Alla luce di quanto esposto, deve concludersi per la conferma dell’ordinanza reclamata.

La natura interpretativa della controversia, la complessità determinata dal numero e dalla successione di norme di non immediato coordinamento giustificano l’integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale, così provvede, rigettata ogni contraria istanza, eccezione, deduzione:

  • Rigetta il reclamo
  • Compensa le spese

Foggia, lì 20.7.2010

Il Presidente (dott. Buonvino)

Il Giudice relatore (dott.ssa Del Prete)

Depositato in Cancelleria il 20.07.2010