Corte di Cassazione – Sentenza n. 32386/2019 del 11 dicembre 2019
(conformi, Cass. n. 33134/2019, n. 33137/2019)
Scuole paritarie. Configurabilità di ruolo di servizio pubblico. Sussistenza.
Servizio prestato presso le scuole paritarie. Equiparabilità al servizio prestato presso le scuole statali. Esclusione.
Potere di autotutela da parte nella P.A. nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. Esclusione. Potere di riesame per contrarietà a norme imperative. Sussistenza.
Ripetizione dell’indebito in caso di buona fede dell’accipiens. Sussistenza.
Un gruppo di insegnanti si era rivolto al giudice del lavoro, chiedendo l’accertamento del proprio diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio in relazione all’attività di insegnamento svolta presso le “scuole paritarie”, con ogni conseguenza sull’inquadramento e sul trattamento economico.
Com’è noto, prima della novella del 2000, nell’ordinamento scolastico comparivano -accanto alle scuole statali- due tipologie di scuole private: quelle “autorizzate” (che non rilasciavano titoli di studio aventi valore legale) e quelle che erano abitate a rilasciare tale titolo, suddivise a loro volta in parificate, pareggiate e legalmente riconosciute.
Il Testo Unico della Scuola (art. 485 D. Lgs. n. 297/1994) riconosce espressamente- ai fini della ricostruzione della carriera- il solo servizio reso presso le scuole pareggiate [1].
La legge n. 62 del 2000 ha poi previsto che il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie.
Il ruolo di servizio pubblico svolto dalle scuole paritarie è stato peraltro autorevolmente riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale (Corte cost., n. 220 del 2007 e n. 242 del 2014).
Inoltre, com’è noto, ai sensi del d.l. n. 255/2001 (conv. in l. n. 333/2001), “i servizi di insegnamento prestati dal 10 settembre 2000 nelle scuole paritarie sono valutati nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali”.
Tale regola riguarda però la valutazione del servizio all’interno delle G.A.E. (nonché in generale per l’assegnazione delle supplenze).
Negli ultimi anni, ci si è chiesto se l’equiparazione del servizio prestato presso tali istituti potesse valere anche ai fini della mobilità e/o della ricostruzione della carriera.
Sul punto, la giurisprudenza si è mostrata divisa (con riferimento al riconoscimento del servizio ai fini della mobilità, cfr. contributo dello scrivente in questo sito https://www.dirittoscolastico.it/sul-riconoscimento-del-servizio-prestato-nelle-scuole-paritarie/).
Con la sentenza in commento (nonché con altre conformi, pubblicate nei giorni immediatamente successivi), la Corte di Cassazione ha ritenuto che – pur avendo il legislatore delineato un servizio pubblico d’istruzione nel quale l’insegnamento svolto nelle scuole paritarie private merita lo stesso riconoscimento di quello impartito nelle scuole pubbliche – ciò non comporta “l’equiparazione del rapporto di lavoro che intercorre con la scuole paritaria, con quello instaurato in regime di pubblico impiego privatizzato”.
La Corte di legittimità ha infatti osservato che nelle scuole paritarie le assunzioni non vengono effettuate sulla base dei “principi concorsuali di cui all’art. 97 Cost.”
Né sarebbe possibile addivenire in via interpretativa ad un’equiparazione, “in mancanza di una norma di legge”.
E’ solo in forza della legge infatti che viene riconosciuto il servizio prestato nelle scuole pareggiate [2] oppure quello reso nelle scuole materne comunali [3].
Decisiva risulta- ad avviso della Corte – la disomogeneità dello “status giuridico dei docenti, in mancanza della quale «una differenza di trattamento appare giustificata sul piano obiettivo e funzionale relativamente al complessivo sistema scolastico unitariamente considerato» (Cass. n. 16623 del 2012)”.
Per completezza, si rileva infine che la Corte nella sentenza in commento ha affrontato anche la problematica della compatibilità della cosiddetta “autotutela” da parte della P.A. nel regime di contrattualizzazione del pubblico impiego, nonché dell’istituto della ripetizione dell’indebito [4].
Al riguardo, la Corte ha osservato che “la Pubblica Amministrazione, nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato, non può agire con gli istituti dell’autotutela”.
“Tuttavia, l’adozione da parte della Pubblica Amministrazione, nella gestione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, di un atto negoziale di diritto privato, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico, non è sufficiente di per sé, a costituire un diritto soggettivo in capo al lavoratore medesimo, poiché la misura economica deve trovare fondamento nella contrattazione collettiva, e si legittima in ragione della conformità a quest’ultima, diversamente incorrendo nel vizio di nullità per contrarietà a norme imperative (cfr., Cass., S.U., n. 21744 del 2009, Cass., n. 15444 del 2016)”.
In ordine alla ripetizione dell’indebito, la Corte – nel richiamare la propria giurisprudenza sul punto (Cass., n. 8338 del 2010, n. 29926 del 2008, nonché, più di recente, n. 4230 del 2016 e n. 4086 del 2016)- ha ricordato che “in materia di impiego pubblico privatizzato, nel caso di domanda di ripetizione dell’indebito proposta da una amministrazione nei confronti di un proprio dipendente n relazione alle somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora, risulti accertato che l’erogazione è avvenuta sine titulo, la ripetibilità delle somme non può essere esclusa ex art. 2033 c.c. per la buona fede dell’accipiens, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi”.
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[1] “Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo”.
[2] Il citato art. 485 D. Lgs. n.297/1994.
[3] Art. 485 cit., comma 2.
[4] Nel caso de quo, infatti, il servizio in un primo momento era stato riconosciuto dall’Amministrazione, che aveva pertanto inquadrato le ricorrenti in una più favorevole fascia stipendiale. Col riesame del provvedimento, si poneva il problema della ripetizione delle differenze retributive medio tempore corrisposte.