Riconoscimento del servizio preruolo ai fini della ricostruzione di carriera. La Cassazione fa il punto dopo la sentenza “Motter”

Corte di Cassazione n. 31149/2019

Corte di Cassazione n. 31150/2019

 

Personale Ata. Diritto alla ricostruzione integrale della carriera. Sussistenza.
Personale docente. Diritto al computo dei servizi inferiori ai 180 giorni.
Sussistenza.
Diritto alla cumulabilità dei benefici derivanti dalla disposizione di cui all’art. 11, comma 14, l. n. 124/1999. Esclusione

 

Con due sentenze pubblicate nella stessa data e rese a seguito di udienza monotematica del 15 ottobre 2019, la Corte di Cassazione limita gli effetti della nota sentenza Motter (https://www.dirittoscolastico.it/il-riconoscimento-del-servizio-pre-ruolo-dopo-cgue-20-settembre-2018-c-466-17-motter-provincia-autonoma-di-trento), in forza del criterio generale per cui viene demandato al giudice nazionale effettuare le opportune verifiche in ordine all’applicazione del principio di diritto enunciato.

Come a suo tempo osservato dallo scrivente[1], la sentenza della C.G.U.E. aveva suscitato negli interpreti non poche perplessità, evidenti già nella (erronea) ricostruzione della normativa nazionale, lasciando numerosi dubbi interpretativi, di cui si dava atto nella nota a commento.

Se da un lato tale sentenza ribadiva la perfetta comparabilità[2] dell’esperienza lavorativa dei docenti precari con quella dei colleghi di ruolo[3] – è pur vero che le conclusioni la Corte era giunta si fondavano su due erronei presupposti:

  1. a) che l’art. 485 D. Lgs. n. 297/94 precludesse il computo integrale del servizio pre ruolo solamente ai docenti che non hanno superato una procedura concorsuale[4];
  2. b) che l’art. 489 D. Lgs. n. 297/94 costituisse una disposizione di favore per il personale precario, in quanto consentirebbe ai docenti che hanno lavorato per più di 180 giorni di avvalersi della fictio iuris dell’equiparazione ad anno scolastico intero (cfr. art. 11, comma 14, l. n.124/1999).

Era perciò quanto mai necessario un approfondimento da parte del giudice nazionale e bisogna dire che la Corte di legittimità non si è sottratta a tale onere, cercando di delineare nel modo più completo possibile i criteri cui attenersi nelle complesse fattispecie che caratterizzano la problematica del lavoro a tempo determinato nel comparto scuola.

 

1) Il caso del personale Ata.

La Corte di legittimità ha superato in gran parte le incertezze interpretative, affermando – per quanto riguarda il personale Ata – il diritto all’integrale riconoscimento dei servizi prestati.

Si ricorda che per tale tipologia di personale – analogamente a quanto disposto per i docenti dall’art. 485- la normativa specifica (art. 569 D. Lgs. n. 297/1994) prevede il riconoscimento del servizio preruolo per intero unicamente per i primi tre anni (piuttosto che quattro), con la riduzione/penalizzazione di un terzo per gli anni successivi.

Nel caso di detto personale, non è prevista – come per i docenti- la possibilità di vedersi riconosciuto l’intero anno con un servizio di almeno 180 giorni[5].

Dunque, in questo caso, le argomentazioni addotte dalla difesa erariale al fine di giustificare la decurtazione del servizio erano con ogni evidenza prive di fondamento.

In applicazione dei principi di cui alla Clausola 4 dell’Accordo Quadro Europeo sul contratto a tempo determinato (principio di non discriminazione), va pertanto riconosciuto per intero il servizio prestato, con conseguente disapplicazione in parte qua della normativa nazionale e – segnatamente- del citato art. 569.

 

2) La ricostruzione di carriera del personale docente.

Nel caso dei docenti, la situazione è più complessa.

La Corte ha preliminarmente osservato che:

  1. a) “della clausola 4, non può essere fornita un’interpretazione restrittiva poiché l’esigenza di vietare discriminazioni dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato viene in rilievo anche qualora il rapporto a termine, seppure non più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio (cfr. Corte di Giustizia 8.11.2011 in causa C- 177/10 Rosado Santana punto 43; Corte di Giustizia 10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza ed altri, punto 36);
  2. b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato ( oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);
  3. c) le maggiorazioni retributive che derivano dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva;
  4. d) la clausola 4 «osta ad una normativa nazionale, … la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da ragioni oggettive …. Il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di un contratto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva di tal genere» (Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C-302/11 a C- 305/11, Valenza e negli stessi termini Corte di Giustizia 4.9.2014 in causa C-152/14 Bertazzi)”.

Venendo alla sentenza Motter, la Corte ha rilevato che la C.G.U.E. nella suddetta pronuncia ha dichiarato di volersi porre in linea di continuità con la propria giurisprudenza e che pertanto “la lettura della pronuncia deve essere complessiva”, sicché la verifica che il giudice nazionale, nell’ambito della cooperazione istituita dall’art. 267 TFUE, è chiamato ad effettuare riguarda tutti gli aspetti che assumono rilievo ai sensi della clausola 4 dell’Accordo Quadro, ivi compresa l’effettiva sussistenza nel caso concreto delle ragioni fatte valere dinanzi alla Corte di Lussemburgo dallo Stato Italiano per giustificare la disparità di trattamento.

Ha dunque richiamato le proprie pronunce in ordine alle tematiche del precariato scolastico, ricordando quanto affermato con l’ordinanza n. 20015/2018 in tema di riconoscimento del diritto dei supplenti temporanei alla percezione della retribuzione professionale docenti, escludendo inoltre che possa configurarsi una “pretesa differenza qualitativa e quantitativa della prestazione”, la quale “oltre a non trovare riscontro nella  disciplina dettata dai CCNL succedutisi nel tempo, che non operano distinzioni quanto al contenuto della funzione docente, non appare conciliabile, (..) «con la scelta del legislatore nazionale di riconoscere integralmente l’anzianità maturata nei primi quattro anni di esercizio dell’attività professionale dei docenti a tempo determinato”.

Tuttavia, prosegue la Corte, è condivisibile la tesi di evitare una “discriminazione alla rovescia”, che potrebbe verificarsi con l’applicazione della fictio iuris di cui al citato art.11, l. n. 124/1999 che equipara ad anno intero il servizio non inferiore a 180 giorni.

Non è detto però che tale discriminazione alla rovescia si verifichi sempre.

Secondo la Corte di legittimità, tale argomento “non privo di pregio”, “non può essere ritenuto decisivo per affermare tout court la conformità alla direttiva della norma di diritto interno, innanzitutto perché la verifica non può essere condotta in astratto, bensì deve tener conto della specificità del caso concreto, nel quale, in ipotesi, potrebbe anche non venire in rilievo l’applicazione della disposizione sopra indicata”[6].

Pertanto, “un problema di trattamento discriminatorio può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l’anzianità effettiva di servizio, non quella virtuale ex art. 489 d.lgs. n. 297/1994, prestata con rapporti a tempo determinato, risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 d.lgs. n. 297/1994, perché solo in tal caso l’attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata all’assunto a tempo indeterminato.

La Corte ha dunque elaborato un “decalogo”, ai fini della determinazione del calcolo dell’anzianità.

“Nel calcolo dell’anzianità occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la conseguenza che non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali questa Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (Cass. n. 21435/2011, Cass. n. 3062/2012, Cass. n. 17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio.

Si dovrà, invece, tener conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 485, perché il medesimo beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti dall’uno all’altro ruolo, con la conseguenza che il meccanismo non determina alcuna discriminazione alla rovescia”.

Sulla base di quanto sopra, è da ritenersi che vada computato il servizio effettivo (comprensivo dei servizi inferiori a 180 giorni), al quale vanno aggiunti i periodi di “assenza giustificata”, quali malattia, maternità, aspettativa e “istituti assimilati”.

Vanno inoltre computati i servizi prestati in un ruolo diverso.

Non è però possibile cumulare i benefici previsti dall’applicazione del disposto di cui al citato art. 11, l. n. 124/1999 (che equipara ad anno intero il servizio non inferiore a 180 giorni) con il computo del servizio effettivo nè con l’abbattimento della riduzione di un terzo per i servizi resi oltre il quarto anno mediante disapplicazione in parte qua della disposizione di cui all’art. 485 D. Lgs. n. 297/1994.

 

3) Le questioni ancora aperte.

Se è certamente encomiabile lo sforzo con cui la Corte ha cercato di stabilire dei criteri generali, sulla scorta di un esame complessivo degli arresti della giurisprudenza eurounitaria e della stessa Corte in subiecta materia, resta ancora qualche nodo da sciogliere.

Il problema delle supplenze fino al termine delle attività didattiche. 

Come si è visto, la Corte ha escluso la computabilità dei “mesi estivi”.

Il problema che si pone all’interprete è comprendere esattamente cose intendesse la Corte con tale locuzione.

Esclusa una interpretazione letterale della locuzione (com’è noto, l’estate inizia il 21 giugno per terminare il 22 settembre), ad una prima lettura si sarebbe portati a ritenere che la Corte abbia voluto riferirsi ai mesi di luglio ed agosto.

Ma anche tale interpretazione non può ritenersi risolutiva.

E’ noto infatti che i docenti della scuola secondaria di secondo grado sono spesso impegnati con gli esami di maturità che si concludono a luglio inoltrato.

Sarebbe certamente privo di logica non computare – ai fini della ricostruzione della carriera- tali servizi, solo perché prestati durante i “mesi estivi”.

E’ opportuno a questo punto un esame della normativa in subiecta materia.

Com’è noto, ai sensi dell’art.4, l.n. 124/1999[7], vi sono tre tipologie di supplenze:

  1. a) supplenze annuali su posti vacanti e disponibili (fino al 31 agosto);
  2. b) supplenze fino al termine delle attività didattiche su posti non vacanti (vale a dire con docente titolare ovvero su posti in organico “di fatto”- fino al 30 giugno);
  3. c) supplenze temporanee (fino all’ultimo giorno di effettiva permanenza delle esigenze di servizio).

Dette disposizioni vanno raccordate con l’ulteriore normativa di settore (D. Lgs. n. 297/1994), nonché con le norme pattizie in subiecta materia.

L’art. 74  del D. Lgs. n. 297/1994– Calendario scolastico per le scuole di ogni ordine e grado -dispone: 

  1. Nella scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo grado e negli istituti di istruzione secondaria superiore, l’anno scolastico ha inizio il 1° settembre e termina il 31 agosto.
  2. Le attività didattiche, comprensive anche degli scrutini e degli esami, e quelle di aggiornamento, si svolgono nel periodo compreso tra il 1° settembre ed il 30 giugno con eventuale conclusione nel mese di luglio degli esami di maturità.

Dunque, per espressa disposizione legislativa, le attività didattiche (fatta eccezione per il caso degli esami di maturità) si esauriscono il 30 di giugno per riprendere a partire dal 1° settembre.

Il C.C.N.L. di settore prevede per i docenti le seguenti attività:

  1. a) Attività di insegnamento (art. 28 CCNL), differenziate in base all’ordine e grado di scuola (25 ore settimanali nella scuola dell’infanzia, 22 nella scuola elementare e 18 nelle scuole secondarie);
  2. b) Attività funzionali all’insegnamento (art. 29 CCNL) che riguardano tutte le altre attività, e si distinguono a loro volta in “ adempimenti individuali[8] e attività di carattere collegiale[9].

Tali attività – che siano di docenza (attività di insegnamento) ovvero funzionali all’insegnamento- sono ricomprese nel concetto di “attività didattiche”.

A sua volta, il CCNL di comparto precisa all’art.13 che le ferie dei docenti sono fruite “durante i periodi di sospensione delle attività didattiche”.

Dunque, i docenti con contratto a tempo indeterminato (e gli stessi docenti con contratto a tempo determinato assunti fino al 31 agosto) non sono tenuti a svolgere nessuna prestazione durante i cosiddetti “mesi estivi”, in quanto le attività di insegnamento e quelle funzionali all’insegnamento in cui si sostanziano le mansioni inerenti a tale tipologia di personale, in detto periodo non si tengono per espressa disposizione legislativa.

Al fine di una corretta interpretazione, appare dunque necessario – parafrasando la pronuncia della Corte- che la lettura della pronuncia sia “complessiva”.

La Corte ha affermato:

  1. a) “In quelle pronunce si è evidenziato, ed il principio deve essere qui ribadito, che la disparità di trattamento non può essere giustificata dalla natura non di ruolo del rapporto di impiego, dalla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, dalle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e dalle esigenze che il sistema mira ad assicurare;
  2. b) né la comparabilità può essere esclusa per i supplenti assunti ai sensi dell’art. 4, comma 3, della legge n. 124/1999 facendo leva sulla temporaneità dell’assunzione;
  3. c) la verifica non può essere condotta in astratto, bensì deve tener conto della specificità del caso concreto;
  4. d) l’applicazione diretta della clausola 4 chiama il giudice nazionale a seguire un procedimento logico secondo il quale occorre: a) determinare il trattamento spettante al preteso “discriminato”; b) individuare il trattamento riservato al lavoratore comparabile; c) accertare se l’eventuale disparità sia giustificata da una ragione obiettiva;.
  5. d) Nel rispetto di queste fasi perché il docente si possa dire discriminato (…), deve emergere che l’anzianità calcolata ai sensi della norma speciale sia inferiore a quella che nello stesso arco temporale avrebbe maturato l’insegnante comparabile, assunto con contratto a tempo indeterminato per svolgere la medesima funzione docente.

Orbene, applicando tali principi al caso di un docente assunto con contratto “fino al termine delle attività didattiche”, si vedrà che la disparità di trattamento che deriverebbe dal mancato computo nel servizio dei “mesi estivi” non appare in alcun modo giustificata.

Se è infatti evidente che “la disparità di trattamento non può essere giustificata dalla natura non di ruolo del rapporto di impiego”, è altrettanto vero che  nel caso in specie non è dato rinvenire alcuna differenza qualitativa e quantitativa della prestazione[10].

Seguendo dunque il ragionamento della Corte, che ricorda che la verifica non può essere condotta in astratto, bensì deve tener conto della specificità del caso concreto, occorre “accertare se l’eventuale disparità sia giustificata da una ragione obiettiva”.

Nel caso considerato, non sembrano potersi individuare ragioni obiettive atte a giustificare tale disparità di trattamento.

Anzi.

La Corte ha tenuto a precisare che occorre valutare in concreto il servizio prestato,dunque calcolare l’effettiva anzianità piuttosto che  “quella virtuale ex art. 489 d.lgs. n. 297/1994”.

Sulla base del combinato disposto di cui alla l.n.124/1999 e il citato art. 489 si assisteva – come si è avuto modo di osservare- ad una fictio iuris per cui al dipendente viene valutato un servizio superiore a quello effettivamente prestato.

E’ però altrettanto vero che anche nel caso del servizio durante i mesi estivi si assiste alla fictio iuris, per cui si va a valutare un servizio che di fatto non viene reso.

Oltre tutto, come si è visto, durante tale periodo i docenti fruiscono delle ferie; sarebbe certamente discriminatorio (nonché contrario alla disposizione di cui all’art. 36, comma 3 della Costituzione) non considerare per i soli docenti con contratto fino al termine delle attività didattiche neppure i giorni di ferie maturati in virtù della prestazione resa.

Leggendo con attenzione il passo della sentenza sul tema, si vedrà che la Corte ha escluso la computabilità del servizio relativo ai mesi estivi “sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio”.

Appare evidente che la Corte non si riferisce al caso dei docenti assunti fino al termine delle attività didattiche (per i quali il rapporto non cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio”, ma si protrae fino al 30 giugno, quanto al caso dei docenti assunti “fino al termine delle lezioni”, con partecipazione agli scrutini finali, vale a dire alla fattispecie disciplinata dal citato art. 11, comma 14 della l. n. 124/1999 (“il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall’anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale”).

Dunque, da una lettura attenta della pronuncia sembra escludersi che la Corte abbia voluto includere -nel divieto di riconoscimento del servizio nel periodo estivo- il caso delle supplenze conferite “fino al termine delle attività didattiche”, limitando piuttosto tale esclusione al caso delle supplenze temporanee conferite “fino al termine delle lezioni”, non verificandosi nel primo caso alcuna differenza qualitativa e quantitativa della prestazione rispetto a quella resa dai docenti di ruolo o dai supplenti annuali, cui tale servizio viene riconosciuto.

Infatti – a differenza dei docenti assunti fino al termine delle lezioni e allo stesso modo dei colleghi di ruolo e dei supplenti annuali- i docenti assunti “fino al termine delle attività didattiche” non cessano il loro rapporto con le operazioni di scrutinio, ma sono impegnati in ulteriori attività di carattere collegiale, quali attività di programmazione, di formazione, partecipazione alle riunioni del Collegio dei docenti, ecc. fino alla data del 30 giugno.

In ogni caso – a tutto voler concedere e in forza di una interpretazione costituzionalmente orientata- dovrebbero comunque sommarsi ai giorni di servizio contrattualmente previsti quanto meno i giorni di ferie maturati e non goduti in relazione al rapporto di lavoro.

In questo senso andrebbe letta l’affermazione della Corte, secondo cui “nel calcolo dell’anzianità occorre tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati).

Non sembra potersi escludere che tra gli istituti assimilati siano ricomprese anche le ferie, anche perché- diversamente opinando- non si comprenderebbero le ragioni per le quali dovrebbe considerarsi quale servizio prestato l’aspettativa retribuita e non il periodo di ferie,  elevato a rango costituzionale ai sensi dell’art. 36 Cost.

Il dibattito giurisprudenziale è destinato a continuare.

                                                                   Avv. Francesco Orecchioni

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[1] Sul punto, v. anche, su questo sito, https://www.dirittoscolastico.it/corte-dappello-di-laquila-sentenza-n-407-2018-del-07-giugno-2018/, nonché https://www.dirittoscolastico.it/corte-di-appello-di-laquila-sentenza-n-148-2019-del-14-marzo-2019/

[2]In tal senso, vedi anche Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 23-11-2017, n. 27950.

[3] il non aver vinto un concorso amministrativo non può implicare che la ricorrente nel procedimento principale, al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, non si trovasse in una situazione comparabile a quella di dipendenti pubblici di ruolo, dato che i requisiti stabiliti dalla procedura nazionale di assunzione per titoli mirano appunto a consentire l’immissione in ruolo nella pubblica amministrazione di lavoratori a tempo determinato con un’esperienza professionale che permette di ritenere che la loro situazione possa essere assimilata a quella dei dipendenti pubblici di ruolo (v., in tal senso, sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C 302/11 a C 305/11, EU:C:2012:646, punto 45)” (cfr. § 33 della sentenza Motter).

[4] Com’è noto, l’art. 485 del D. Lgs. n. 297/94 prevede la decurtazione di 1/3 del servizio prestato anche nei confronti dei docenti immessi in ruolo previo superamento di un pubblico concorso.

[5] La disposizione di cui all’art. 11, comma 14 della l. n. 124/1999, si riferisce infatti al solo “servizio di insegnamento”.

  1. Il comma 1 dell’art. 489del testo unico è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall’anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale (art. 11, co. 14, l. n.124/1999).

[6] Si pensi ad esempio al caso di un docente che abbia prestato servizio per l’intero anno scolastico.

In questo caso, pur non avendo fruito di alcun bonus, subisce ugualmente una decurtazione del servizio..

[7] 1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l’utilizzazione del personale in soprannumero, e semprechè ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo.

  1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario.
  2. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee.

[8] Riguardano le attività relative:

  1. a) alla preparazione delle lezioni e delle esercitazioni;
  2. b) alla correzione degli elaborati;
  3. c) ai rapporti individuali con le famiglie.

[9] Sono costituite da:

  1. a) partecipazione alle riunioni del Collegio dei docenti, ivi compresa l’attività di programmazione e verifica di inizio e fine anno e l’informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali, fino a 40 ore annue;
  2. b) la partecipazione alle attività collegiali dei Consigli di classe, di interclasse, di intersezione. Gli obblighi relativi a queste attività sono programmati secondo criteri stabiliti dal Collegio dei docenti; nella predetta programmazione occorrerà tener conto degli oneri di servizio degli insegnanti con un numero di classi superiore a sei in modo da prevedere un impegno fino a 40 ore annue;
  3. c) lo svolgimento degli scrutini e degli esami, compresa la compilazione degli atti relativi alla valutazione.

[10] In quanto nei mesi estivi i docenti di ruolo e i supplenti annuali non sono tenuti a svolgere alcuna prestazione.