Pubblicità e diritto di accesso ai verbali del Consiglio di Istituto

 

Entrambe le fattispecie sono disciplinate all’interno del D. Lgs. n.297/1994 (Testo Unico in materia di istruzione), l’art.43 verte precisamente sulla pubblicità degli atti del Consiglio il comma 1 stabilisce che gli atti sono pubblicati in apposito albo della scuola, il comma 3 afferma che non sono soggetti a pubblicazione all’albo gli atti concernenti singole persone, salvo contraria richiesta dell’interessato ed infine il comma 4 sottolinea che si osservano, in materia di accesso ai documenti amministrativi, le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241. Il diritto di accesso ai verbali del consiglio di istituto è quindi anche regolato sulla base dell’ormai consolidata Legge n.241/1990, così come modificata ed integrata, prima dalla Legge n.15 del 2005 e successivamente dalla Legge n.69 del 2009.

In seguito alle modifiche apportate dall’art.10, comma 1 lett.a) della Legge n.69, all’art. 22, comma 2 della legge 241 si legge che “l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”; lo stesso art.10 comma 1, lett.b) della legge 69, ha aggiunto all’art 29 della legge 241,  il comma 2 bis in riferimento all’ambito di applicazione della legge, si puntualizza infatti che le disposizioni in essa contenute “attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione” e che perciò la pubblica amministrazione ha l’obbligo di garantire “l’accesso alla documentazione amministrativa”.

In ordine alla pubblicità degli atti e provvedimenti amministrativi il comma 1 dell’art.32 della succitata legge 69 dispone che gli obblighi di pubblicazione aventi effetto di pubblicità legale  “si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati. La pubblicazione è effettuata nel rispetto dei princìpi di eguaglianza e di non discriminazione, applicando i requisiti tecnici di accessibilità di cui all’articolo 11 della legge 9 gennaio 2004, n. 4. La mancata pubblicazione nei termini di cui al periodo precedente è altresì rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili”.

Di recente, a sostegno della pubblicità degli atti prodotti dalle pubbliche amministrazioni, è intervenuto il D.Lgs. n.33 del 2013 al fine di riordinare la disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni; il decreto regola difatti l’obbligo di pubblicazione nei siti istituzionali di documenti, di informazioni e di dati concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, cui corrisponde anche il diritto di chiunque di accedere ai siti direttamente ed immediatamente, senza autenticazione ed identificazione (art. 2 comma 2). Tale disposizione trova completamento nel diritto di conoscibilità ovvero nella possibilità per il cittadino di conoscere, di fruire gratuitamente, di utilizzare e riutilizzare i dati pubblicati nei siti istituzionali (art.3) anche se nella pubblicazione degli atti e negli obblighi previsti, il legislatore ha posto quelli che, all’art.4 del suddetto decreto, sono definiti “limiti alla trasparenza”  adducendo che la pubblicazione deve essere eseguita nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali, ricorrendo alla anonimizzazione dei dati personali eventualmente presenti nonché al principio della indispensabilità dei dati, allo scopo comunque di assolvere all’obbligo di trasparenza e di pubblicità. I principi di trasparenza,  pubblicazione, conoscibilità e accessibilità di atti o documenti inerenti le pubbliche amministrazioni,  così come sancite nel decreto 33, sembrerebbero quindi apparire come i nuovi assiomi del principio generale di pubblicità e di diritto di accesso.

A sostegno di ciò l’art.5 del D.Lgs. 33 sancisce il cosiddetto “accesso civico”, in vigore dal 20 aprile 2013, per il cui regolamento sugli obblighi di pubblicità e di trasparenza si rinvia alla Deliberazione n.74/2013 emanata dalla Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche – Autorità nazionale anticorruzione. Anche se l’art.5 del D.Lgs. 33 istruisce già su alcuni principi essenziali che regolano l’accesso civico ai fini di assicurare l’accessibilità degli atti o dei documenti prodotti o detenuti dalla pubblica amministrazione; vi si legge infatti che “l’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione” (comma1) la richiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente non deve essere motivata, è gratuita e va presentata al responsabile della trasparenza dell’amministrazione obbligata alla pubblicazione di cui al comma 1, che si pronuncia sulla stessa (comma 2); l’amministrazione, entro trenta giorni, procede alla pubblicazione nel sito del documento, dell’informazione o del dato richiesto e lo trasmette contestualmente al richiedente, ovvero comunica al medesimo l’avvenuta pubblicazione, indicando il collegamento ipertestuale a quanto richiesto. Se il documento, l’informazione o il dato richiesti risultano già pubblicati nel rispetto della normativa vigente, l’amministrazione indica al richiedente il relativo collegamento ipertestuale (comma 3); nei casi di ritardo o mancata risposta il richiedente può ricorrere al titolare del potere sostitutivo di cui all’articolo 2, comma 9-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, che, verificata la sussistenza dell’obbligo di pubblicazione, nei termini di cui al comma 9-ter del medesimo articolo, provvede ai sensi del comma 3” (comma 4).

Volendo ora far confluire le disposizioni sopra citate con quanto stabilito all’interno dell’art.43 del D.Lgs. 297/1994 non vi è dubbio che i principi, relativi alla pubblicità e all’accesso degli atti prodotti dal Consiglio di Istituto, siano sostenuti ed avvalorati da una maggiore enfasi normativa che dà più vigore all’articolo in questione. La pubblicazione all’albo, oggi “on line”, per effetto della Legge n.69, è infatti un obbligo dal quale l’amministrazione non può più esimersi; anzi gli effetti conoscitivi degli atti o dei documenti, attraverso le delibere adottate, da parte di chiunque abbia interesse alla conoscenza, possono rivestire una funzione propedeutica per un accesso formale ed integrale degli atti del Consiglio, nel caso in cui si abbia intenzione di tutelare interessi specifici. Tale modalità di accesso è comunque subordinata sempre ai limiti imposti dalla Legge 241/1990, in specie per i verbali del Consiglio, in quanto l’art.43 del D.Lgs.297/1994 ad essa specificamente rimanda.

Prima che intervenissero le disposizioni della Legge 69/2009 e del D.Lgs 33/2013, la pubblicità degli atti e il diritto di accesso ai verbali del Consiglio di Istituto hanno trovato  una specifica disciplina, nella C.M. 105 del 1975 e successivamente nel D.P.R. n.275 del 1999 “Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59”. L’art. 13 della suddetta circolare così prevede “La pubblicità degli atti del consiglio di circolo o di istituto, disciplinata dall’art. 27 del D.P.R. 31 maggio 1974, n. 416, deve avvenire mediante affissione in apposito albo di circolo o di istituto, della copia integrale – sottoscritta e autenticata dal segretario del consiglio – del testo delle deliberazioni adottate dal consiglio stesso . L’affissione all’albo avviene entro il termine massimo di otto giorni dalla relativa seduta del consiglio. La copia della deliberazione deve rimanere esposta per un periodo di 10 giorni. I verbali e tutti gli atti scritti preparatori sono depositati nell’Ufficio di segreteria del circolo od istituto e – per lo stesso periodo – sono esibiti a chiunque ne faccia richiesta. La copia della deliberazione da affiggere all’albo è consegnata al direttore didattico o al preside dal segretario del consiglio; il direttore didattico o il preside ne dispongono l’affissione immediata e attestano in calce ad essa la data iniziale di affissione. Non sono soggetti a pubblicazione gli atti e le deliberazioni concernenti singole persone, salvo contraria richiesta dell’interessato”;  l’art 14 comma 7 del D.P.R. 275 precisa che “i provvedimenti adottati dalle istituzioni scolastiche, fatte salve le specifiche disposizioni in materia di disciplina del personale e degli studenti, divengono definitivi il quindicesimo giorno dalla data della loro pubblicazione nell’albo della scuola. Entro tale termine, chiunque abbia interesse può proporre reclamo all’organo che ha adottato l’atto, che deve pronunciarsi sul reclamo stesso nel termine di trenta giorni, decorso il quale l’atto diviene definitivo. Gli atti divengono altresì definitivi a seguito della decisione sul reclamo”. La pubblicità diviene, per mezzo degli articoli succitati, uno strumento di conoscenza, ma ancora di più, la fonte dal quale muoversi per esperire motivato reclamo. Sino a qui, sia la legge 69 che il D.Lgs. 33 sembrerebbero esternare una più moderna e tecnologica razionalizzazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, avvalorando le disposizioni circa la pubblicità degli atti prodotti dal Consiglio di Istituto così come riportati nella C.M. 105 e nel D.P.R. 275.

Tuttavia un’altra questione si pone: premettendo che la conoscenza delle deliberazioni adottate dall’organo in parola potrebbe costituire il primo passaggio alla successiva conoscenza integrale del verbale da parte di chi vi abbia interesse, posto che la pubblicità dell’intero atto potrebbe confliggere con gli interessi di altri soggetti o determinarsi anche come un controllo generalizzato della pubblica amministrazione, è legittimo richiedere l’accesso integrale degli atti in assenza di motivata richiesta da parte dell’interessato?

L’art.5 del D.Lgs. 33/2013 afferma palesemente che la richiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e non deve essere motivata. Al riguardo non è superfluo aggiungere che quando si parla di documenti amministrativi essi devono intendersi nella più ampia accezione “costituendo documenti amministrativi tutti quegli atti formati o utilizzati dall’Amministrazione ai fini dello svolgimento della propria attività. Dovendosi conseguentemente ritenere ammissibile il diritto di accesso anche agli atti formati e provenienti da soggetti privati, purché gli stessi siano detenuti stabilmente dalla p.a. per l’espletamento delle proprie attività istituzionali” (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 05 maggio 2010, n. 9766).

Sull’eventuale illegittimità del diniego da parte dell’amministrazione responsabile dell’accesso si è così si è espresso il Tar della Sardegna: “l’Amministrazione non può respingere la domanda di accesso ai documenti amministrativi, presentata ai sensi dell’articolo 25 della legge 241 del 1990, sulla base di eventuali pregresse situazioni contenziose con l’istante, ancorché il qualche modo collegate con il procedimento cui ineriscono i documenti oggetto della domanda, ma deve rilasciare, per il principio di trasparenza, i documenti richiesti ove la domanda di accesso evidenzi l’interesse di cui è portatore il richiedente l’accesso e non sussista alcuno dei motivi di esclusione del diritto disciplinati dall’articolo 24 della stessa legge. Non condivisibile appare inoltre l’affermazione dell’Amministrazione, anch’essa posta a fondamento del diniego, sulla infondatezza della richiesta di accesso per la mancata indicazione della “posizione giuridica facente capo all’istante da tutelare attraverso la conoscenza dei dati per sui si chiede l’accesso”. L’accoglimento delle domande di accesso non può essere condizionato da valutazioni circa l’esistenza di una posizione di interesse legittimo tutelabile in sede giurisdizione e tantomeno dal valutazioni sulla fondatezza della pretesa alla cui tutela l’acquisizione della documentazione è strumentale, posto che il diritto di accesso è autonomo rispetto alla posizione giuridica posta a base della relativa istanza e prescinde da ogni accertamento sull’esistenza di un interesse legittimo da tutelare e da ogni valutazione l’circa la fondatezza della pretesa sostanziale, eventualmente, sottesa. (sentenza Tar Sardegna, n.534/2011).

Allo stesso modo, anche se con una minore enfasi, si è orientato il Tar Lombardia con la sentenza n.530 del 2010 ponendo anzitutto un limite al principio generale della trasparenza, affermando che quest’ultimo, pur se rientrando nel nostro ordinamento “non è affatto assoluto e incondizionato, ma subisce alcuni temperamenti, basati, fra l’altro, sulla limitazione dei soggetti attivi del diritto di accesso, questione quest’ultima che involge i profili della legittimazione sostanziale ed dell’interesse ad agire”; più avanti si sottolinea che “in particolare, anche se il diritto di accesso è volto ad assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e a favorirne lo svolgimento imparziale, rimane fermo che l’accesso è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti stessi, direttamente o indirettamente si rivolgono, e che se ne possano eventualmente avvalere per la tutela di una posizione soggettiva legittimante. Quest’ultima è costituita da una “situazione giuridicamente rilevante” (comprensiva anche degli interessi diffusi) e dal collegamento qualificato tra questa posizione sostanziale e la documentazione di cui si pretende la conoscenza. L’interesse, per la cui tutela è attribuito il diritto di accesso, tuttavia, è nozione diversa e più ampia rispetto all’interesse all’impugnativa così che la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chiunque possa dimostrare che gli atti procedimentali oggetto dell’accesso abbiano spiegato o siano idonei a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione giuridica, stante l’autonomia del diritto di accesso inteso come interesse ad un bene della vita distinto rispetto alla situazione legittimante all’impugnativa dell’atto” (ex plurimis, cfr. Consiglio di Stato 27 ottobre 2006 n. 6440). E’ bene specificare che la posizione legittimante, anche se non deve assumere necessariamente la consistenza del diritto soggettivo o dell’interesse legittimo, deve essere però giuridicamente tutelata non potendo identificarsi con il generico ed indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa. Deve ritenersi, a questa stregua, che l’art. 22, co. 1, lett. b), l. n. 241/1990, quando parla di “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, si riferisca alla sussumibilità della pretesa concreta in una fattispecie normativa, secondo una valutazione prognostica e secondo un rapporto di chiara percepibilità.

Stante a quanto affermato dalla suddetta sentenza il diritto di accesso sarebbe quindi consentito a chiunque vi abbia interesse, ma non può giustificarsi in modo generico, anzi la motivazione posta nella domanda di accesso sembrerebbe condizione necessaria affinché quest’ultimo sia esperito. Va da sé che se il diniego di accesso è illegittimo, non costa nulla al richiedente dare senso alla richiesta aggiungendovi, seppur in modo velato e generico, una percezione dell’interesse per cui si chiede l’accesso.

 Katjuscia Pitino