Com’è noto, col d.l. n.126/2019 è stato modificato l’art. 399 del D.Lgs. n. 297/1994 “Accesso ai ruoli”, il cui comma 3 attualmente recita:
“A decorrere dalle immissioni in ruolo disposte per l’anno scolastico 2020/2021, i docenti a qualunque titolo destinatari di nomina a tempo indeterminato possono chiedere il trasferimento, l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione in altra istituzione scolastica ovvero ricoprire incarichi di insegnamento a tempo determinato in altro ruolo o classe di concorso soltanto dopo cinque anni scolastici di effettivo servizio nell’istituzione scolastica di titolarita’, fatte salve le situazioni sopravvenute di esubero o soprannumero. La disposizione del presente comma non si applica al personale di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, purche’ le condizioni ivi previste siano intervenute successivamente alla data di iscrizione ai rispettivi bandi concorsuali ovvero all’inserimento periodico nelle graduatorie di cui all’articolo 401 del presente testo unico”.[1]
Pertanto, a partire dall’a.s. 2020/ 2021, i docenti neo assunti sono tenuti a restare nella scuola di titolarità per almeno cinque anni, con espresso divieto non solo di presentare domanda di trasferimento, ma persino di assegnazione provvisoria o utilizzazione.
La novella- che tante proteste e polemiche sta suscitando tra i docenti neo-assunti- fonda la sua ratio ispiratrice sulla necessità da un lato di non lasciare “sguarnite” le regioni del nord Italia, che soffrono di carenza di docenti (al contrario di quelle del sud), dall’altro di garantire la continuità didattica agli allievi.
In passato, con la l.107/2015 si era cercato di limitare la mobilità dei docenti neo-assunti.
Tuttavia, potendo i medesimi fruire dell’istituto dell’assegnazione provvisoria, molti di loro di fatto hanno continuato a prestare servizio nella propria provincia o regione, o quanto meno hanno avuto la possibilità di avvicinarsi a casa.
Con la novella, gli insegnanti neoassunti (e quelli che lo saranno a partire dall’a.s. 2020/2021) sono vincolati a rimanere nella scuola in cui prendono servizio, per almeno cinque anni di servizio effettivo, senza alcuna possibilità di partecipare ai movimenti, neppure temporanei, con conseguente allontanamento dalle proprie famiglie, dai propri figli e dalla loro realtà quotidiana.
A parte le proteste più o meno fondate che accompagnano ogni riforma, sono numerose le critiche sul piano giuridico che vengono avanzate in proposito.
Un primo aspetto che suscita perplessità è il fatto che la disposizione riguarda anche i docenti che hanno partecipato al concorso straordinario 2018, il cui bando prevedeva un vincolo triennale, con la possibilità di partecipare alle operazioni di mobilità annuale (utilizzazione e assegnazione provvisoria in altra provincia).
In questo caso, la P.A. ha cambiato le regole in corso d’opera, senza rispettare la “promessa al pubblico” ex art. 1989 c.c. contenuta nel bando.
Ma l’aspetto che appare stridere maggiormente con i cardini dell’ordinamento giuridico è l’esclusione sic et simpliciter della possibilità di chiedere persino l’assegnazione provvisoria.
L’istituto dell’assegnazione provvisoria è utilizzabile esclusivamente per motivi di carattere familiare (ricongiungimento/riavvicinamento al coniuge, ai figli o ai genitori).
In questo caso, sono in gioco diritti di rango costituzionale, sanciti dagli artt. 29 e ss. della Costituzione.
Com’è noto, l’art.29 riconosce i diritti della famiglia, l’art. 30 declina il rapporto genitoriale con i figli stabilendo il diritto/dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, mentre l’art.31 prevede l’agevolazione “con misure economiche ed altre provvidenze” ai fini della formazione della famiglia e l’adempimento dei relativi compiti, stabilendo -nel contempo- che la Repubblica “protegge la maternità, l’infanzia e gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
L’art. 475 del D.Lgs. n. 297/1994 – Assegnazioni provvisorie di sede dispone(va):.
- Il personale direttivo e docente delle scuole materne, delle scuole elementari, della scuola secondaria di primo grado, degli istituti o scuole di istruzione secondaria superiore, che abbia chiesto e non ottenuto il trasferimento, può, a domanda, essere provvisoriamente assegnato ad una delle sedi richieste per trasferimento.
- Può essere altresì presentata domanda di assegnazione provvisoria di sede per sopraggiunti gravi motivi da parte di coloro i quali non abbiano presentato domanda di trasferimento nei termini stabiliti.
- Le assegnazioni provvisorie di sede sono disposte per cattedre o posti comunque disponibili per l’intero anno scolastico.
- Non sono consentite assegnazioni provvisorie di sede nei confronti di personale di prima nomina.
- La concessione delle assegnazioni provvisorie di sede è limitata alle sole ipotesi di ricongiungimento al coniuge o alla famiglia per esigenze di assistenza ai figli minori o inabili ed ai genitori anziani o per gravi esigenze di salute. Hanno altresì titolo a chiedere l’assegnazione provvisoria di sede gli insegnanti trasferiti d’ufficio per soppressione di posto.
- La disposizione di cui al comma 5 si applica anche al personale delle istituzioni educative statali.
- Le assegnazioni provvisorie possono essere disposte soltanto per posti ai quali non sia possibile destinare né personale docente di ruolo, anche delle dotazioni aggiuntive, né eventuale personale docente non di ruolo non licenziabile in servizio nella provincia.
Tale norma veniva poi disapplicata dall’art. 142 del CCNL del comparto scuola per il quadriennio normativo 2002/2005, in quanto materia da regolarsi con norme pattizie, ai sensi dell’art. 69, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001.
Per tale ragione, in occasione delle operazioni di mobilità annuale (utilizzazioni e assegnazioni provvisorie) le parti sociali provvedono ogni anno a siglare un apposito CCNI.
Non si incorra nell’errore di ritenere che l’istituto delle assegnazioni provvisorie rappresenti una sorta di privilegio, in favore dei dipendenti del comparto scuola.
L’art. 42 bis D.lgs. n. 151/2001 (“Testo Unico della maternità e della paternità”, emanato in attuazione dell’art. 8, l. n.53/2000) dispone:
- Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali. L’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda.
- Il posto temporaneamente lasciato libero non si renderà disponibile ai fini di una nuova assunzione.
Dunque, almeno per quanto riguarda i pubblici dipendenti (ivi compresi quelli appartenenti a pubblico impiego non contrattualizzato[2]) l’istituto dell’assegnazione provvisoria/temporanea costituisce una regola generale, declinata proprio in forza di quegli inderogabili doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., nonché delle norme dettate dal legislatore costituente a tutela della famiglia.
Tra l’altro, la facoltà prevista dal citato art. 42-bis è in alcuni casi più ampia di quella prevista dall’assegnazione “provvisoria” nel comparto scuola, avendo natura triennale (piuttosto che annuale) e potendo essere fruita anche in modo frazionato ed essere richiesta non solo nella provincia, ma anche nella regione[3] in cui l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa.
Orbene, la disposizione di cui al citato art. 399 D. Lgs. n. 297/1994 come rinnovellato dal d.l. n. 126/2019, va ad incidere su diritti riconosciuti al lavoratore dipendente pubblico da norme di rango primario, vergate dal legislatore in attuazione di principi costituzionali.
In forza di quali esigenze tali diritti vengono ad essere così gravemente compressi e compromessi?
La ratio della novella è stata in primo luogo individuata nell’esigenza di colmare il vuoto in organico che si verifica in alcune province del nord, a fronte di una grossa “offerta” di docenti, soprattutto nelle province del centro-sud.
In questo senso, persino le disposizioni fissate dalla l.n. 107/2015 (c.d. “Buona Scuola”) che avevano stabilito un piano straordinario di assunzioni, correlato ad un contemporaneo piano straordinario di mobilità su tutto il territorio nazionale, si erano rivelate insufficienti, sia perché tali disposizioni venivano in parte derogate dalla contrattazione collettiva, sia perché restava comunque la possibilità di ottenere l’assegnazione provvisoria per i docenti trasferiti al nord.
Una tale spiegazione non appare tuttavia appagante, in quanto la disposizione in esame si spinge persino a vietare la possibilità di chiedere l’assegnazione provvisoria nella stessa provincia in cui si presta servizio.
Con ogni evidenza, un’istanza in tal senso non provocherebbe il paventato “spopolamento”, né alcun vuoto di organico nella provincia considerata, in quanto si tratterebbe esclusivamente di uno spostamento all’interno della stessa provincia (se non addirittura nello stesso Comune, nel caso delle utilizzazioni).
Si è allora ipotizzato che il legislatore con la disposizione in esame abbia in realtà voluto tutelare principalmente la “continuità didattica”, in favore degli allievi, che non sarebbero più costretti ad assistere ad un carosello di insegnanti.
Il diritto degli allievi alla continuità didattica viene così elevato dal Legislatore a diritto primario, concorrente e in qualche modo anteposto ad altri diritti di rango costituzionale, quali quelli di cui ai citati artt. 29 e ss. Cost.
A parte ogni considerazione in ordine all’opportunità di tale scelta, ciò che non convince è la mancanza di qualunque conseguente disposizione che stabilisca la continuità didattica quale principio cardine per l’assegnazione dei docenti alle classi.
La materia- com’è noto- è regolata dall’art. 396[4] del D. Lgs. n. 297/1994 e dall’art.25 del D.Lgs. n.165/2001, secondo cui l’assegnazione dei docenti alle classi è di competenza del Dirigente Scolastico.
Elementari ragioni di coordinamento e ragionevolezza avrebbero dovuto indurre il Legislatore a stabilire – quanto meno nel caso dei docenti “immobilizzati”- il divieto di spostamento dei medesimi da una classe o sezione all’altra, attualmente rimesso alla discrezionalità del Dirigente Scolastico.
Senza dire che – se il Legislatore avesse ritenuto di voler tutelare il “diritto degli alunni alla continuità didattica” (sacrificando al suo altare esigenze di rango primario quali la tutela della famiglia e dei figli, nonché il diritto/dovere all’educazione e all’istruzione dei quest’ultimi)- non si comprendono le ragioni per cui non abbia stabilito tale principio quale regola generale per l’assegnazione dei docenti alle classi.
Potrebbe paradossalmente verificarsi il caso di un docente, al quale viene inibito di presentare domanda di assegnazione provvisoria persino nella stessa provincia, che venga nel contempo assegnato dal Dirigente Scolastico ad altre classi, in violazione del criterio della continuità didattica.
In buona sostanza, il divieto di presentare la domanda di assegnazione provvisoria – con conseguente grave compressione di diritti di rango costituzionale- appare del tutto irragionevole, non essendo sorretto da un coerente impianto normativo che preveda la regola della continuità didattica quale limite al potere discrezionale del Dirigente nell’assegnazione dei docenti alle classi.
Nel contempo, l’assenza di una disposizione di rango primario in proposito, rende difficilmente sostenibile la tesi secondo cui la continuità didattica sia stata elevata dal Legislatore a pilastro dell’azione educativa, pilastro cui sacrificare diritti costituzionalmente tutelati, quali quelli di cui agli artt. 29 e ss. Cost.
In conclusione, la norma in esame non appare immune da dubbi in ordine alla sua legittimità costituzionale, per contrasto -anche sotto il profilo della ragionevolezza- con gli articoli 29, 30 e 31 Cost., nella parte in cui inibisce ai docenti neoassunti di presentare domanda di assegnazione provvisoria, pur in presenza di posti disponibili.
***
[1] Tali disposizioni sono peraltro inderogabili dalla contrattazione collettiva (cfr. D.L. 29/10/2019 n. 126 su Gazzetta Uff. 30/10/2019 n. 255 convertito con modificazioni con legge 20 dicembre 2019 n.159):
Art. 1 – Disposizioni urgenti in materia di reclutamento e abilitazione del personale docente nella scuola secondaria
17-novies. Le disposizioni di cui ai commi 3 e 3-bis dell’articolo 399 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come modificato dal comma 17-octies del presente articolo, non sono derogabili dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Sono fatti salvi i diversi regimi previsti per il personale immesso in ruolo con decorrenza precedente a quella indicata al comma 3 del medesimo articolo 399 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994, come sostituito dal citato comma 17-octies del presente articolo .
[2] Per l’applicabilità di tale disposizione anche agli Agenti di Polizia, cfr. T.A.R. Napoli sez. VI 04 giugno 2020 n. 2184; per l’applicabilità di tale disposizione anche al personale militare e delle Forze di Polizia, cfr. .T.A.R. Milano sez. III 12 maggio 2020 N. 802.
[3] Potrebbe infatti accadere che nella provincia non si verifichi la “sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva”, ma che il posto vacante si trovi un’altra provincia della stessa regione.
[4] Integrato dalle disposizione di cui agli artt. 7 e 10 del D. Lgs. n. 297/1994.,