Nota a ordinanza Corte di Cassazione, Sez. I, 19 settembre 2023, n. 26820
Massima
In materia di scelte riguardo ai figli, il criterio guida informante delle decisioni sia – non possa non essere – quello del preminente interesse del minore a una crescita sana ed equilibrata (nella specie relativa all’iscrizione ad una scuola primaria e dell’infanzia – che costituisce il primo approdo alla scolarizzazione e a una più ampia socializzazione del minore e che ha visto contrapporre un istituto privato ad un istituto pubblico collocati anche in zone urbane diverse – vi è, dunque, la necessità – da parte del giudice di merito – di verificare non solo la potenziale offerta formativa, la adeguatezza edilizia delle strutture scolastiche e l’assolvimento dell’onere di spesa da parte del genitore che propugna quella onerosa, ma, innanzi tutto, la rispondenza di ciò al concreto interesse del minore, in considerazione dell’età e delle sue specifiche esigenze evolutive e formative, nonché della collocazione logistica dell’istituto scolastico rispetto all’abitazione del bambino, considerata la mancanza di mobilità autonoma di questi, posto che una distanza della scuola dall’abitazione, significativa per il minore, potrebbe indurre conseguenze confliggenti con il suo interesse morale e materiale, rispetto alle quali l’assolvimento dell’esborso economico da parte del padre non può costituire l’elemento dirimente).
Commento di Filippo Colapinto
Secondo la Corte di Cassazione (ordinanza n. 26820/2023), in caso di conflitto genitoriale sulla scelta della scuola dell’infanzia pubblica o privata per il figlio, il perseguimento dell’interesse del bambino può portare a provvedimenti sulla sua educazione, contenitivi o restrittivi della libertà religiosa dei genitori per evitare conseguenze pregiudizievoli sulla salute psico-fisica e lo sviluppo del figlio stesso.
Il caso in esame trae origine dalla pronuncia della Corte d’Appello di Firenze che respingeva il reclamo proposto dalla madre avverso il decreto del Tribunale di Lucca con il quale era stata accolta la richiesta paterna di autorizzazione all’iscrizione del minore alla scuola primaria privata.
La Corte di merito motivava la propria decisione sulla base delle seguenti considerazioni relative alla scuola privata: “i) era dotata di giardino; ii) consentiva lo svolgimento di attività extracurriculari maggiori rispetto alla scuola pubblica; iii) non era molto distante dall’abitazione del minore, essendo collocata in un piccolo centro urbano quale Lucca e ciò rendeva anche incomprensibili le allegazioni circa la diversità dell’ambiente sociale rispetto al quartiere di abitazione, iv) la scelta di far frequentare alla altra figlia una scuola privata dimostravano una generale non avversione della madre per tale tipo di scuola; v) la retta era stata assunta integralmente dal padre”.
La madre, allora, proponeva ricorso per Cassazione affidandosi a due motivi.
Con il primo motivo lamentava che la motivazione del decreto fosse carente e si basasse solo sul potere economico di chi sostiene i costi della scuola privata e sulla possibilità, solo eventuale, del minore di frequentare attività extra, esterne all’orario scolastico.
Con il secondo motivo denunciava la nullità del procedimento per omesso esame di fatti decisivi per la decisione che indicava nei seguenti: “a) assenza di motivi confliggenti con l’interesse del minore, in ragione dei quali preferire la scuola privata; b) distanza tra la scuola pubblica e la scuola privata; c) creazione per il minore di una rete amicale in un quartiere diverso dal proprio; d) omessa considerazione che l’istruzione pubblica è espressione del diritto sancito dall’art. 33 della Costituzione; e) assenza di presunzione che la scuola privata sia migliore di quella pubblica e assenza di concreti motivi preferenziali; f) la frequenza della scuola privata richiede l’adesione a specifici orientamenti non solo didattici, ma anche educativi che possono non essere condivisi dai genitori; g) la scuola pubblica è gratuita e deve rispettare i parametri costituzionali dell’imparzialità e dell’efficienza ed essere orientata allo sviluppo culturale del minore; h) la scuola pubblica è scelta “neutra” espressione del sistema nazionale di istruzione; i) l’iscrizione a 40 ore, anziché a 25 ore lede il principio di fratellanza, perché porterebbe il minore ad uscire da scuola alle 16,30, mentre la sorella termina le lezioni alle 13,00; l) la presenza del giardino non è dirimente perché, come da decreto ministeriale del 18/12/1975, il giardino è imposto come requisito strutturale anche alla scuola pubblica”.
Dopo aver stabilito che il provvedimento adottato ai sensi dell’art. 709 ter cpc dalla Corte d’appello in sede di reclamo – al fine di risolvere la controversia insorta tra genitori, avente ad oggetto la scelta per il figlio minore di frequentare o meno una scuola dell’infanzia pubblica piuttosto che privata – è ricorribile in cassazione, in quanto incide sul diritto-dovere dei genitori di educare i figli con carattere di decisorietà e stabilità, la questione che la Suprema Corte si trova a dover affrontare riguarda la fattispecie del contrasto tra genitori, entrambi esercenti la responsabilità genitoriale, su una questione di particolare importanza che investe la persona del figlio minore, quella relativa, cioè, alla scelta delle modalità di svolgimento del percorso scolastico di questi.
È utile premettere che l’art. 316 c.c., sulla responsabilità genitoriale, con testo applicabile ai procedimenti pendenti al 30 giugno 2023 afferma che “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. Il giudice, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto dodici anni, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiari. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio”.
Nelle ipotesi di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, nonché nell’ambito dei procedimenti riguardanti i figli nati al di fuori del matrimonio in caso di cessazione della convivenza tra i genitori, opera invece l’art. 337-ter c.c. (provvedimenti riguardo ai figli, testo applicabile ai procedimenti pendenti al 30 giugno 2023) che dispone: “La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggior interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice”.
Tenendo a mente che, ai sensi dell’art. 315-bis, comma 1, c.c. “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”, la Suprema Corte stabilisce, anzitutto, che la norma di governo della relativa fattispecie concreta è proprio quella dettata dall’art. 337-ter, comma 3, c.c. (che, tra gli altri, richiama anche le materie dell’“istruzione e dell’educazione” dei minori) per cui – nell’ipotesi di contrasto insorto tra i genitori su questione di “particolare importanza” per la persona del minore – “la decisione è rimessa al giudice”.
Ciò chiarito, la Suprema Corte evidenzia come la decisione non resta arbitraria ma deve essere assunta secondo un criterio stabilito dalla legge, quello dell’esclusivo riferimento al superiore interesse, morale e materiale, del minore coinvolto, nel caso concreto in esame. In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha affermato in maniera granitica che, in materia di scelte riguardo ai figli, il criterio guida informante delle decisioni sia – non possa non essere – quello del preminente interesse del minore a una crescita sana ed equilibrata (cfr., tra le altre pronunce, Cass., 7 marzo 2023, n. 6802; Cass., 27 luglio 2021, n. 21553; Cass., 11 novembre 2020, n. 25310).
Il giudice, quindi, in qualità di soggetto super partes, è chiamato espressamente, in via del tutto eccezionale, a ingerirsi nella vita privata della famiglia, adottando i provvedimenti relativi alla prole, in luogo dei genitori che non siano stati in grado di comporre i propri dissidi ideologici e le correlate convinzioni e di stabilire, di comune accordo, le linee educative.
Recentemente, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, sez. I, con sentenza 19 maggio 2022, n. 54032, intervenendo su una nuova questione relativa alle scelte dei genitori circa l’educazione religiosa dei figli, con riguardo alla composizione di divergenze tra i due genitori, in relazione a un caso che aveva portato anche all’intervento dei giudici nazionali, ha precisato che va assicurato l’interesse superiore del minore e che talune limitazioni su alcune modalità di coinvolgimento del minore in un credo scelto da un genitore non costituiscono una discriminazione se funzionali a garantire e a preservare la libertà di scelta del minore, di conseguenza la decisione dei giudici nazionali di precludere al padre di una bambina la presenza della minore a manifestazioni pubbliche collegate al credo seguito dal padre non è in contrasto con la CEDU se la decisione è adottata al fine di consentire la libertà di scelta della bambina e assicurare l’interesse superiore del minore; nella specie, le autorità nazionali, nell’adottare un provvedimento limitativo, avevano assicurato il rapporto continuativo padre-figlia e, quindi, non era stato leso il diritto al rispetto della vita familiare del padre. La CEDU ha, in passato, sottolineato che le modalità pratiche per l’esercizio della potestà genitoriale sui minori definite dai tribunali nazionali possono, in quanto tali, violare la libertà di un ricorrente di manifestare la propria religione (Deschomets c. Francia (dec.), 16 maggio 2006, n. 31956/02) e che l’obiettivo prioritario di tener conto dell’interesse superiore dei minori consiste nel conciliare le scelte educative di ciascun genitore e nel cercare di trovare un equilibrio soddisfacente tra le concezioni individuali dei genitori, precludendo qualsiasi giudizio di valore e, ove necessario, stabilendo norme minime sulle pratiche religiose personali (F.L. c. Francia (dec.), 3 novembre 2005, n. 61162/00).
La scelta del giudice, quindi, deve essere indirizzata non facendo prevalere le personali convinzioni sull’interesse morale e materiale del minore, che va individuato considerando, innanzi tutto, l’età e le esigenze di sviluppo evolutivo affettivo, psico/fisico e formativo normalmente ad essa connesse, le capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, le esigenze specifiche dovute ad eventuali documentate circostanze fattuali individualizzanti proprie del bambino, il contesto familiare e sociale e quanto altro il giudice ritenga utile valorizzare motivatamente tra gli elementi relativi al minore acquisiti nella fase istruttoria.
In un caso, come quello di specie, di iscrizione ad una scuola primaria e dell’infanzia – che costituisce il primo approdo alla scolarizzazione e a una più ampia socializzazione del minore e che ha visto contrapporre un istituto privato ad un istituto pubblico collocati anche in zone urbane diverse – vi è, dunque, la necessità da parte del giudice di merito di verificare non solo la potenziale offerta formativa, la adeguatezza edilizia delle strutture scolastiche e l’assolvimento dell’onere di spesa da parte del genitore che propugna quella onerosa, ma, innanzi tutto, la rispondenza di ciò al concreto interesse del minore, in considerazione dell’età e delle sue specifiche esigenze evolutive e formative, nonché della collocazione logistica dell’istituto scolastico rispetto all’abitazione del bambino, considerata la mancanza di mobilità autonoma di questi, posto che una distanza della scuola dall’abitazione, significativa per il minore, potrebbe indurre conseguenze confliggenti con il suo interesse morale e materiale, rispetto alle quali l’assolvimento dell’esborso economico da parte del padre non può costituire l’elemento dirimente. Ciò, esemplificativamente, sia in ordine alla possibilità del minore di avviare e/o incrementare rapporti sociali ed amicali di frequentazione extrascolastica con i compagni e di creare una propria sfera sociale, funzionale alla crescita psico/fisica ed alla maturazione richieste dall’età evolutiva, posto che tutti i potenziali amici necessiterebbero, comunque, della disponibilità di familiari o di addetti adulti per l’accompagnamento e gli spostamenti, sia in ragione della congruità dei tempi di percorrenza e dei mezzi da utilizzare per l’accesso alla scuola ed il rientro all’abitazione, rispetto all’età ed alle esigenze fisiologiche del minore.
Sintetizzando, la decisione dei giudici di merito non risulta adottata sul best interest del minore, che costituisce l’unico criterio legale di valutazione in base al quale il giudice deve scegliere fra le due proposte educative.