“Precari” della scuola statale: forme di tutela di derivazione comunitaria, attuali e/o potenziali nel nostro Ordinamento giuridico.
(Avv. Luigi Giuseppe Papaleo (Foro di Lagonegro -PZ-)
Membro di Commissione Ministeriale di Accertamento di Spesa c/o il Ministero dello Sviluppo Economico.)
Il presente studio, parte da una sommaria ricognizione degli atti normativi “paradigmatici” del sistema giuridico comunitario, per affrontare successivamente il problema dell’integrale o parziale recepimento nel diritto interno degli obblighi comunitari derivanti dalla direttiva 1999/70/CE, strumentali al riconoscimento in capo ai singoli di rilevanti posizioni giuridiche di vantaggio.
Il sistema di tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche soggettive su cui incide il diritto comunitario, oppure che dallo stesso, sono direttamente create, funge da strumento finalizzato a rendere “effettivo” il sistema giuridico nel suo complesso e, quindi, finalizzato altresì, alla realizzazione in concreto dell’aspirazione della comunità europea al riconoscimento primordiale come “comunità di diritto”.
Tale sistema, si attua su due piani procedurali, distinti ma funzionalmente collegati, il primo, implica il c.d. controllo diretto della Corte di giustizia e/o del Tribunale (organi giurisdizionali dell’istituzione comunitaria) sulla legittimità “comunitaria” degli atti normativi sovranazionali (regolamenti, raccomandazioni, direttive, decisioni, pareri, ecc.), giudizio questo, che viene attivato dalle istituzioni, dagli Stati membri o anche dai singoli cittadini e si esaurisce con una pronuncia del giudice comunitario.
Il secondo piano procedurale, è quello della c.d. procedura pregiudiziale, fondata sulla cooperazione tra giudice interno dello stato membro ed il giudice comunitario, attraverso il meccanismo del “rinvio pregiudiziale” dal giudice nazionale al giudice comunitario.
Attraverso la procedura pregiudiziale, che si conclude con una pronuncia del giudice nazionale che decide il singolo giudizio, nell’ambito del quale è stata sollevata e/o eccepita la c.d. questione di pregiudizialità, viene attuato il c.d. “controllo indiretto” della Corte di giustizia sulla compatibilità di norme interne (leggi, all’occorrenza anche costituzionali, atti amministrativi a contenuto normativo, ecc.) con il diritto comunitario.
A tal proposito, è importante fare presente che il giudice nazionale, in presenza di una precedente sentenza della Corte di giustizia, con la quale è stato regolato un caso analogo alla vicenda processuale di cui è investito, può anche evitare di dare corso al rinvio pregiudiziale ed applicare direttamente la normativa comunitaria così come individuata dalla Corte di giustizia.
Peraltro, in caso di contrasto tra una normativa comunitaria ed una fonte del diritto nazionale, anche di rango costituzionale precedente o successiva all’atto comunitario, il giudice nazionale deve applicare il diritto comunitario con prevalenza rispetto al diritto interno, stante il principio del “primato del diritto comunitario sul diritto interno”.
Con riguardo, poi, al tema della rilevanza degli atti normativi comunitari nell’ordinamento giuridico dello Stato membro, si riporta la paradigmatica caratterizzazione intercorrente tra i regolamenti e le direttive:
I regolamenti comunitari, rientrano tra le fonti cc.dd. “self executing” ovvero che producono effetti -costitutivi di una posizione giuridica soggettiva attiva e/o passiva in capo a ciascun cittadino- a prescindere dall’esistenza o meno di una fonte normativa “interna” che abbia recepito il diritto comunitario (legge ordinaria o anche costituzionale, legge regionale, atto amministrativo a contenuto normativo).
Altra peculiarità dei regolamenti comunitari, consiste nel fatto che le norme da essi introdotte, possono essere provviste di “effetto diretto” (ovvero idonee a costituire posizioni giuridiche soggettive in capo ai cittadini) anche se indirizzate allo Stato membro, in quanto costituiscono un obbligo di fare o non fare, in capo allo Stato membro, la cui osservanza si collega comunque ad un diritto del singolo.
L’effetto diretto dei regolamenti comunitari, prescinde da ogni altra misura “attuativa dello Stato membro” atta a condizionarne la piena efficacia: all’uopo si rammenta, per il nostro ordinamento, il “principio di sussistenza di copertura finanziaria” per le leggi che importino nuove o maggiori spese pubbliche (rispetto a quelle già previste con legge finanziaria), sancito dalla disposizione ex-art.11-ter L.468/1978 (inserito dall’art.7 della Legge 362/1988) pena, altresì, l’incostituzionalità delle legge stessa per violazione dell’art.81 co.4 Cost. e/o altresì la copertura finanziaria che deve sussistere per gli atti amministrativi che importano spese pubbliche.
Ciò significa, che in presenza di un regolamento comunitario, costitutivo in capo ad un “cittadino comunitario” (status detenuto dai cittadini degli Stati membri) di un diritto soggettivo concernente la pretesa ad un premio in denaro erogabile dallo Stato membro, la circostanza della carenza di copertura finanziaria dell’atto normativo e/o amministrativo interno di recepimento, non osta alla immediata e corretta applicazione del regolamento comunitario stesso.
In tema di regolamenti si parla infine, anche di “efficacia diretta orizzontale” volendo intendere l’attitudine del regolamento a costituire direttamente delle situazioni giuridiche soggettive in capo ai cittadini degli stati membri, da costoro direttamente “azionabili” innanzi al giudice nazionale.
Le direttive, invece sono atti normativi comunitari rivolti allo Stato membro e, quindi non idonei a creare posizioni giuridiche soggettive direttamente in capo ai cittadini, salvo il caso delle direttive cc.dd. a “maglie strette” che possono avere anche un’efficacia analoga a quella dei regolamenti, analogamente a quei regolamenti che come innanzi citato, costituiscono un obbligo di fare o non fare in capo allo Stato membro, la cui osservanza si collega comunque ad un diritto soggettivo del singolo.
In tema di “direttive” i cittadini, di ciascuno Stato membro della Comunità Europea, in qualità comunque di ultimi destinatari, di situazioni soggettive che saranno costituite da atti normativi “interni” attuativi delle predette “direttive”, hanno legittimazione ad agire contro lo Stato, innanzi alla Corte di Giustizia, direttamente oppure anche attraverso l’incidente del rinvio pregiudiziale, nel caso di mancato e/o inesatto recepimento delle direttive comunitarie, tale fenomeno è denominato (efficacia diretta “verticale”).
E’ pacifico e consolidato, secondo la giurisprudenza comunitaria, che la predetta legittimazione ad agire, quale esplicazione del c.d. “effetto diretto verticale” vale nei confronti non solamente del “potere esecutivo” dello Stato membro ed altresì, nonchè verso l’apparato amministrativo centrale e periferico dello Stato/Persona Giuridica, ma, altresì, verso ogni altro apparato organizzativo pubblico, fino a ricomprendere soggetti privati incaricati per legge di una pubblica funzione e/o di un pubblico servizio.
Passando al secondo punto del presente studio, si sottolinea che la normativa italiana in tema di contratti di lavoro a termine, fissata nel D.Lgs.368/2001, rappresenta proprio il recepimento di un atto comunitario e precisamente della direttiva nr.1999/70/CE, relativa all’accordo quadro sottoscritto dagli organismi comunitari: CES, UNICE, e CEEP sul lavoro a tempo determinato.
In materia di pubblico impiego, però, vige un espresso divieto (ex-art.36 D.Lgs.165/2001 così come modificato dalla L.133/2008), secondo il quale, in caso di accertamento giudiziale di “abuso” del termine apposto al contratto di lavoro subordinato, non opera la sanzione della conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato: condanna questa, al contrario, legislativamente fissata per il settore del lavoro subordinato privato.
Tale divieto, non implica però, l’impossibilità per il giudice ordinario di statuire comunque una condanna al risarcimento dei danni, verso la P.A. che ricorre allo strumento di flessibilità del lavoro in dispregio e/o in violazione della normativa sopra richiamata (ex-D.Lgs. 368/2001).
Al riguardo, c’è da segnalare che, relativamente alla misura del risarcimento, in giurisprudenza è diffuso il richiamo al parametro economico fissato ex-art.18 L.300/1970 (c.d. Statuto dei lavoratori) ovvero ad una cifra determinabile nel “quantum debeatur” fino alle venti mensilità retributive.
Giusta l’Ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, adottata a sezioni unite, ( SS.UU. Cass. Ord. nr.3399 del 13/02/2008) che ha statuito sulla natura giuridica delle cc.dd. “G.A.E.” (Graduatorie ad esaurimento), classificando i relativi atti di formazione e gestione quali atti di diritto privato, e sottraendole, quindi, al regime legale delle cc.dd. graduatorie pubbliche (formatesi all’esito e/o conclusione di una tipica procedura concorsuale e/o selettiva pubblica) ed assegnandole alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario nella specie, giudice del lavoro, la disciplina delineata dal combinato disposto del D.Lgs.368/2001, con la norma ex-art.36 D.Lgs.165/2001 così come modificato dalla L.133/2008, ha rilevanza, ad avviso di chi scrive, per gli operatori c.d. precari del mondo della scuola statale, perché, il “lavoratore” (docente o educatore della scuola pubblica) che ritenesse di essere vittima di un “illegittimo e/o abusivo” uso del termine, nel rispettivo contratto di lavoro e/o di un abuso nella reiterazione dei contratti, potrebbe agire in giudizio nel tentativo di far accertare tale illegittimità e conseguentemente ottenere la declaratoria di risarcimento dei danni.
Ancora, il medesimo “lavoratore”, persistendo il suo “status” di docente e/o educatore, utilmente collocato nelle predette G.A.E., ai fini del conferimento delle supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche, potrebbe agire, sempre innanzi al Giudice del lavoro, per far valere il suo diritto al mantenimento del posto di lavoro indirettamente previsto, già a livello costituzionale con la norma “programmatica” ex-art.4 Cost. ed invocando, altresì, la c.d. “efficacia diretta verticale” dell’anzidetta direttiva comunitaria 1999/70/CE con il relativo accordo quadro, formulando l’incidente, con eccezione di rinvio pregiudiziale, innanzi alla Corte di Giustizia al fine di ricercare la giusta disciplina introdotta dalla predetta fonte comunitaria e, quindi, verificare se effettivamente nel ns. ordinamento giuridico, il recepimento della relativa disciplina è avvenuto in maniera congrua oppure è ancora carente, e, quindi in quest’ultimo caso, il Giudice nazionale (Giudice del lavoro fungente anche da “Giudice a quo” nella procedura pregiudiziale) avrebbe il dovere di disapplicare la norma ex-art.36 D.Lgs. 165/2001 così come modificata dalla L.133/2008, in virtù del primato del diritto comunitario sul diritto interno.
Lauria, lì 22/11/2009
Avv. Luigi Giuseppe Papaleo