Parere sull’applicazione dell’art. 2. Del D.P.R. 487 del 1994 in materia di requisiti di ammissione alle procedure concorsuali del Dipartimento della Funzione pubblica sulla cessazione del rapporto di impiego

L’art. 2 comma 3 del DPR 487/1994 prevede che: “Non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall’elettorato politico attivo, nonché coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione per persistente insufficiente rendimento, ovvero siano stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell’articolo 127, primo comma, lettera d), del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3”.

L’art. 127 Decadenza del DPR 3/1957 prevede che: “Oltre che nel caso previsto dall’art. 63, l’impiegato incorre nella decadenza dall’impiego: a) quando perda la cittadinanza italiana; b) quando accetti una missione o altro incarico da una autorità straniera senza autorizzazione del ministro competente; c) quando, senza giustificato motivo, non assuma o non riassuma servizio entro il termine prefissogli, ovvero rimanga assente dall’ufficio per un periodo non inferiore a quindici giorni ove gli ordinamenti particolari delle singole amministrazioni non stabiliscano un termine più breve;  d) quando sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile. La decadenza di cui alle lettere c) e d) è disposta sentito il consiglio di amministrazione.”

Il Dipartimento della Funzione pubblica, con parere n. 04768 del 20/01/2022, a fronte di richiesta di parere da parte di un’amministrazione comunale che scaturiva dalle risultanze delle verifiche effettuate sulle dichiarazioni dei candidati ad un concorso bandito dall’Ente da cui è emerso che per uno di questi era intervenuta l’interruzione di un precedente rapporto lavorativo con la pubblica amministrazione all’esito di un procedimento attivato in materia di responsabilità dirigenziale ha precisato alcuni punti fondamentali di applicazione della normativa sui requisiti di ammissione ai concorsi.

In particolare, il Dipartimento della Funzione pubblica ha stabilito che: “L’art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 487 del 1994 si riferisce in generale a fattispecie di cessazione del rapporto di impiego disciplinate dal d.P.R. n. 3 del 1957 quali la destituzione, la dispensa dal servizio per persistente insufficiente rendimento e la decadenza per conseguimento dell’impiego conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile. La vigente disciplina del rapporto di lavoro privatizzato dei pubblici dipendenti prevista dal decreto legislativo n. 165 del 2001 e dalle previsioni dei contratti collettivi colloca tali fattispecie – attualizzandole nella logica del nuovo ordinamento – nell’alveo del procedimento e del licenziamento disciplinare. Il recesso per responsabilità dirigenziale previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 165 del 2001 e – per il personale dirigenziale degli enti locali – dall’art. 3 del CCNL dell’AREA II del 22 ottobre 2010, è una fattispecie introdotta con la privatizzazione e, pertanto, estranea ai casi di cessazione del rapporto di impiego previsti dal d.P.R. n. 3 del 1957 richiamati dall’art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 487 del 1994. La relativa disciplina, tipizzata dalle fonti normative e contrattuali sia per i profili riguardanti l’ambito soggettivo e oggettivo di applicazione sia per i profili procedurali, resta distinta da quella riguardante la materia disciplinare e di tale circostanza la legge ed il contratto ne danno evidenza. Da quanto detto ne consegue che – in termini astratti e generali -, stante il dettato dell’art. 2, comma 3, del citato decreto presidenziale ed il vigente ordinamento in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrative, non sussistono elementi per ricondurre il recesso per responsabilità dirigenziale alla casistica della citata previsione del decreto presidenziale in assenza di previsioni espresse in tal senso.

Avv. Maria Cristina Fabbretti