L’affermazione contenuta nell’art. 33 della Costituzione “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” è da intendersi come specificazione dell’ art. 21 della Costituzione, che al comma 1 recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”.
Pertanto quanto riportato all’art. 33 della Costituzione non è un diritto specifico dei docenti, ma di tutti coloro (persone fisiche, persone giuridiche, altri enti) che intendono “insegnare arte e scienza”; a riprova in ambito scolastico l’istruzione privata (legge n. 62/2000), e l’istruzione genitoriale (art. 111 del dlgs n. 297/1994).
Naturalmente, come ogni diritto, non può ritenersi totalmente esente da limiti; la sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 1974 recita: “La previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non integra una tutela incondizionata e illimitata della libertà di manifestazione del pensiero, giacché, anzi, a questa sono posti limiti derivanti dalla tutela del buon costume o dall’esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione. […] E tra codesti beni ed interessi, ed in particolare tra quelli inviolabili, in quanto essenzialmente connessi con la persona umana, è l’onore (comprensivo del decoro e della reputazione)”.
E’ lo stesso comma 2 dell’art. 33 della Costituzione, che pone i primi “paletti” alla libertà di insegnamento dei docenti: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.” Ne risulta evidente che ogni docente è soggetto alle “norme generali sull’istruzione”.
Parallelamente l’art. 34 della Costituzione mette giustamente al centro del sistema di istruzione non il docente, ma il discente. In tale quadro costituzionale, esiste il diritto all’istruzione/formazione dei discenti, rispetto al quale è subordinato il diritto della libertà di insegnamento dei docenti, che non può prescindere dall’obbligo di operare con la finalità prioritaria del Bene dei discenti.
Infatti, i docenti, quando svolgono la funzione dell’insegnamento, non hanno come prioritario diritto/dovere di riferimento la libertà di insegnamento, ma il dovere di offrire il migliore insegnamento possibile per rendere effettivi il diritto all’istruzione, e la crescita etico-morale-intellettuale-culturale-civica dei discenti.
In merito sono illuminanti gli artt. 1 e 2 del dlgs n. 297/1994:
“Art. 1 – Formazione della personalità degli alunni e libertà di insegnamento 1. Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal presente testo unico, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente. 2. L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni. 3. E’ garantita l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca.
Art. 2 – Tutela della libertà di coscienza degli alunni e diritto allo studio 1. L’azione di promozione di cui all’articolo 1 è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni. 2. A favore degli alunni sono attuate iniziative dirette a garantire il diritto allo studio.”
Il docente non può “offrire” visioni unilaterali, ma deve garantire un confronto aperto di posizioni culturali, nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni.
L’art. 395, comma 1, del d.lgs n. 297/1994 recita:
“1. La funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità.”
Anche in questo caso è il processo di sviluppo del discente al centro dell’attività di insegnamento.
In modo analogo l’art. 1 della legge n. 53/2003 inizia recitando: “Al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione”.
In ultimo la legge n. 107/2015, che all’art. 1, comma 3, recita:
“3. La piena realizzazione del curricolo della scuola e il raggiungimento degli obiettivi di cui ai commi da 5 a 26, la valorizzazione delle potenzialita’ e degli stili di apprendimento nonche’ della comunita’ professionale scolastica con lo sviluppo del metodo cooperativo, nel rispetto della liberta’ di insegnamento, la collaborazione e la progettazione, l’interazione con le famiglie e il territorio sono perseguiti mediante le forme di flessibilita’ dell’autonomia didattica e organizzativa previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e in particolare attraverso:…..”.
Si tratta di una riaffermazione della natura di collegialità e comunità educativa del processo educativo e di istruzione, come già evidente nel d.lgs n. 297/1994 e nel DPR n. 275/1999.
In particolare l’art. 1 del DPR n. 275/199 recita:
“1. Le istituzioni scolastiche sono espressioni di autonomia funzionale e provvedono alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa, nel rispetto delle funzioni delegate alla Regioni e dei compiti e funzioni trasferiti agli enti locali, ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. A tal fine interagiscono tra loro e con gli enti locali promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del sistema di istruzione.
2. L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.”
Si tratta di un articolo, che senza possibilità di interpretazioni alternative, riconosce come espressione, depositario e tutore della libertà di insegnamento l’Istituto scolastico (e non i singoli docenti), che si manifesta in primis nella definizione del Piano dell’Offerta Formativa (POF), poi chiamato Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) con la legge n. 107/2015.
Si tratta dell’epigono di un modo di affermare la libertà di insegnamento, già emerso con i decreti delegati del 1974, e poi con il Testo Unico del 1994 (dlgs n. 297/1994), che ha riconosciuto agli Organi Collegiali la definizione della didattica, della progettazione, e della valutazione, tenendo conto della normativa, e delle linee di indirizzo e delle linee guida del Ministero dell’Istruzione.
In merito è particolarmente illuminante l’art. 26 del CCNL 2007, che recita:
“ART.26 – FUNZIONE DOCENTE 1. La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione.
2. La funzione docente si fonda sull’autonomia culturale e professionale dei docenti; essa si esplica nelle attività individuali e collegiali e nella partecipazione alle attività di aggiornamento e formazione in servizio. 3. In attuazione dell’autonomia scolastica i docenti, nelle attività collegiali, attraverso processi di confronto ritenuti più utili e idonei, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico – didattici, il piano dell’offerta formativa, adattandone l’articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio – economico di riferimento, anche al fine del raggiungimento di condivisi obiettivi qualitativi di apprendimento in ciascuna classe e nelle diverse discipline. Dei relativi risultati saranno informate le famiglie con le modalità decise dal collegio dei docenti.”
Per ulteriore conferma di quanto affermato è sufficiente analizzare, a titolo di esempio, gli artt. 5-7-10 del DPR n. 297/1994, il DPR n. 122/2009, i DPR 88-89/2010.
In base alla normativa sopra riportata, la programmazione didattica, i progetti didattici, le metodologie didattiche, la valutazione,… hanno una natura collegiale, e non individuale.
Il singolo docente può esprimere la propria autonomia didattica e professionale sono nell’ambito di quanto definito dalla normativa e dalle delibere degli organi collegiali, ed esclusivamente con modalità congrue a quanto stabilito a livello normativo, e collegialmente.
A titolo di esempio, il singolo docente deve operare in base a quanto previsto dal Piano educativo individualizzato (PEI) o dal Piano didattico personalizzato (PDP) in relazione a discenti con bisogni educativi speciali, rispettando quanto deliberato in sede di Consiglio di Classe; se la normativa e/o il PTOF prevedono che deve essere aodottata una didattica per competenze, il docente non può svolgere una didattica per contenuti; il docente non può trattare argomenti non facenti parte della programmazione didattica già coordinata anche in ottica interdisciplinare dal Consiglio di Classe; parimenti in riferimento alla valutazione, il singolo docente ha solo potere di proposta nel corso dello scrutinio, essendo il giudizio valutativo di competenza esclusiva del consiglio di classe; se nel PTOF è deliberato che non si possono assegnare compiti a casa per la giornata del lunedì, il docente non può agire in senso contrario; ….
In sintesi l’attività didattica di un istituto scolastico, oltre che dalla vigente normativa in materia, riceve gli indirizzi dal Collegio dei Docenti (eventualmente supportato dai dipartimenti disciplinari), e dal Consiglio di Istituto; il Consiglio di Classe provvede all’applicazione nel contesto classe dei predetti indirizzi, ed in primis di quanto previsto dal PTOF.
Per quanto esposto, l’autonomia didattica e professionale dei docenti risulta pertanto limitata (e non di certo legibus solutus), ed essenzialmente si riduce alla possibilità di manifestare il proprio pensiero e le proprie scelte didattiche, entro i limiti sopra indicati, oltre a quelli sanciti dalla citata sentenza della Corte Costituzionale, e dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, per la quale ogni manifestazione del pensiero deve rispettare i principi di verità, pertinenza, e congruenza (ossia la giusta misura).
In ogni caso la manifestazione del personale pensiero del docente, e delle autonome scelte didattiche, potranno essere integrative (e certamente congrue), ma mai sostitutive, di una rappresentazione completa delle posizioni in merito alla materia insegnata al fine di favorire, come normativamente previsto, lo sviluppo delle capacità critiche e della personalità dei discenti, e delle scelte didattico-metodologiche deliberate dagli organi collegiali.
L’attività didattica è normativamente un lavoro di squadra, che deve coinvolgere l’intera Comunità Educante; ogni singolo docente è un elemento prezioso che deve essere in grado di cooperare con l’intero sistema, e che deve rifuggire da scelte individualistiche ed autoreferenziali, non cooordinate con la volontà espressa dagli organi collegiali.
Ogni Istituto scolastico è un “microcosmo politico” in cui si deve esercitare la “democrazia didattica”, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali e dei diritti di libertà dei docenti, sempre avendo come riferimento fondamentale il Bene del discente.
Garantire l’equilibrio sopra indicato, tra norme e diritti a volte contrastanti tra loro, è forse il compito più importante e delicato (ma anche spesso trascurato) di un buon dirigente scolastico (art. 25 del dlgs n. 165/2001).
Giovanni Paciariello, Presidente dell’Associazione Papa Giovanni Paolo II, che opera a tutela dei diritti degli studenti, e dirigente scolastico in quiescenza.