La CHAP della Commissione Europea 25 giugno 2019 sugli abilitati in Romania: garantire il diritto alla libera circolazione del trattato UE, di accesso parziale e di valutazione della equivalenza del titolo, nonchè di partecipazione ai F.I.T.

 Avv. Maurizio Danza Prof. Diritto Del Lavoro – Università Mercatorum Roma

Prosegue la vicenda che riguarda il diritto all’esercizio della professione docente in Italia di numerosissimi cittadini italiani abilitati in Romania,  in attesa di una prima decisione cautelare all’ udienza del 16 luglio 2019, innanzi alla sezione III° bis del TAR Lazio-Roma, ad oggetto la impugnativa dell’avviso MIUR n.5636 del 2 aprile 2019 di rigetto delle loro istanze, e  dei decreti di rigetto individuali .

Di particolare interesse la recente CHAP del 25 giugno 2019 della Commissione EuropeaDirezione Generale Mercato Interno, Industria, Imprenditoria e PMI Modernizzazione del mercato unico, Qualifiche e competenze professionali che prevede espressamente  “..in quanto cittadini europei gli studenti italiani hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione, hanno conseguito titoli di studio in un altro Stato membro dell’UE (la Romania) e sono ritornati nel loro paese d’origine (l’Italia). Alla loro situazione è pertanto applicabile il trattato UE, in particolare per quanto riguarda il rispetto del principio fondamentale della libera circolazione dei lavoratori (articolo 45 TFUE)” ; a ben vedere la posizione della Commissione Europea conferma  la illegittimità dell’avviso e dei decreti di rigetto del MIUR, già ribadita nel ricorso introduttivo, per non aver mai disposto un accertamento in concreto del titolo conseguito in Romania, finalizzato alla verifica di quei “requisiti minimi” tali da garantire l’espletamento della funzione docente in Italia, proprio a salvaguardia del diritto alla libertà di circolazione previsto dall’art.45 del trattato fondativo dell’Unione Europea .

Inoltre la stessa Commissione sottolinea la palese violazione dei principi giurisprudenziali comunitari in materia di riconoscimento delle professioni da parte del MIUR, ritenendo che “ In questi casi “[…] spetta all’autorità competente (nel caso di specie, il MIUR) verificare […] se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l’esperienza professionale ottenute in quest’ultimo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività di cui trattasi.”, e menzionando espressamente la nota sentenza “Morgenbesser” del 13 novembre 2003 C-313/2001 mai applicata al caso di specie e che invece avrebbe dovuto comportare da parte del MIUR , una autonoma valutazione del titolo conseguito dai ricorrenti italiani in Romania.

La stessa Commissione Europea prosegue nella Chap, affermando che “Questa procedura di valutazione deve consentire alle autorità dello Stato membro ospitante di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti il possesso, da parte del suo titolare, di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quanto meno equivalenti a quelle attestate dal diploma nazionale. Tale valutazione dell’equivalenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considerazione del livello delle conoscenze e delle qualifiche che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica cui esso si riferisce, consente di presumere in possesso del titolare”, ribadendo dunque, l’obbligo della “valutazione dell’equivalenza” principio affermato  dalla nota pronuncia della Corte di giustizia del 15 ottobre 1987, ( Unectef/Heylens, C-222/86),  richiamata espressamente nella CHAP e di cui se ne chiede l’applicazione in sede giudiziaria a favore dei ricorrenti.   

A ben vedere poi, la Commissione Europea non si limita a menzionare i detti principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea, ma stigmatizzi altresì il comportamento delle autorità italiane  prevedendo cheAlla luce di quanto sopra, le autorità italiane che sono tenute a valutare le candidature dei cittadini italiani che hanno ricevuto una formazione come insegnanti in un altro Stato membro dell’UE ma che non sono pienamente qualificati dovrebbero comunque valutare le conoscenze e le qualifiche conseguite in modo da consentire agli studenti italiani di partecipare, se del caso, al concorso nella categoria pertinente al fine di accedere alla formazione pratica prevista per gli insegnanti (FIT). Infatti, in base a quanto previsto dalla legge , la possibilità di accedere a tale formazione non comporta l’accesso diretto alla professione”; dunque la Commissione Europea riconosce esplicitamente  il diritto di partecipazione dei ricorrenti alla formazione pratica di cui ai c.d. FIT previsti dal Decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59!

È di tutta evidenza dunque che il MIUR, continui a disattendere sia i principi comunitari in tema di riconoscimento delle qualifiche professionali, che dell’accesso parziale disciplinato dall’ art.4 septies della Direttiva 2013 /55/CE recepito dal combinato disposto dell’art. 1 bis e 5 septies del D.lgs. n. 206/2007. Auspichiamo che il Collegio della terza sezione Bis del Tar-Lazio chiamato a pronunciarsi, valuti attentamente le richieste difensive che evidenziano le numerose illegittimità degli atti posti in essere dal MIUR, nonchè gli altri documenti già depositati in sede di memorie difensive ed in possesso esclusivo della difesa, in vista dell’esame della questione cautelare fissata al 16 luglio 2019.