Corte di Cassazione n. 25901/2021
Annullato licenziamento irrogato dopo la condanna penale del dipendente.
Interessante sentenza della Cassazione in ordine alla possibilità per la P.A. di riaprire un procedimento disciplinare a seguito di sentenza di condanna del dipendente.
Com’è noto, con la riforma Brunetta non è più necessario attendere la conclusione del procedimento penale per avviare il procedimento disciplinare ed applicare le relative sanzioni[1].
La sospensione del procedimento disciplinare rappresenta una mera facoltà per l’Amministrazione, della quale la PA può avvalersi “nei casi di particolare complessita’ dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione” (cfr. art. 55 ter, comma 1, D. Lgs. cit.)
Accade così che- quando la PA viene a conoscenza di un fatto addebitabile al dipendente e punibile come reato – si procede senz’altro all’avvio del procedimento disciplinare.
Ovviamente, il fatto che il dipendente sia sottoposto ad un procedimento penale non implica necessariamente che lo stesso sia colpevole.
Sono infatti necessari i dovuti accertamenti da parte dell’Autorità Giudiziaria con la possibilità per il dipendente di esercitare a pieno il diritto alla difesa ex art. 24 Cost.
Appare opportuno riprodurre la norma in esame.
- Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorita’ giudiziaria, e’ proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni per le quali e’ applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessita’ dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, puo’ sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale . Fatto salvo quanto previsto al comma 3, il procedimento disciplinare sospeso puo’ essere riattivato qualora l’amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Resta in ogni caso salva la possibilita’ di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente.
- Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilita’ della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale.
- Se il procedimento disciplinare si conclude con l’archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all’esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare e’ riaperto, altresi’, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne e’ stata applicata una diversa.
- Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, il procedimento disciplinare e’, rispettivamente, ripreso o riaperto, mediante rinnovo della contestazione dell’addebito, entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, da parte della cancelleria del giudice, all’amministrazione di appartenenza del dipendente, ovvero dal ricevimento dell’istanza di riapertura. Il procedimento si svolge secondo quanto previsto nell’articolo 55-bis con integrale nuova decorrenza dei termini ivi previsti per la conclusione dello stesso. Ai fini delle determinazioni conclusive, l’ufficio procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell’articolo 653, commi 1 e 1-bis, del codice di procedura penale.
Sono pertanto possibili vari scenari:
1) sospensione del procedimento disciplinare in attesa della conclusione di quello penale;
2) applicazione della sanzione disciplinare e successiva assoluzione del dipendente, perché il fatto non sussiste o il dipendente non lo ha commesso;
3) archiviazione del procedimento disciplinare e successiva condanna in sede penale del dipendente.
Se nel caso di sospensione del procedimento disciplinare, non sussistono problemi applicativi (in quanto il procedimento si riaprirà all’esito del procedimento penale), la norma in esame regola le ulteriori ipotesi sub 2) e 3).
Qualora il dipendente sia stato assolto “con formula piena”, la sanzione disciplinare irrogata verrà revocata, mentre, qualora il dipendente sia stato condannato, il procedimento disciplinare archiviato verrà riaperto.
Quid iuris in caso di sanzione disciplinare impugnata (e annullata in sede giudiziale) e successiva sentenza di condanna del dipendente?
E’ questo il caso affrontato dalla pronuncia in esame.
La vicenda processuale riguardava una dipendente comunale che aveva falsamente accusato i suoi superiori di gravi fatti e che aveva perciò subito la sanzione del licenziamento disciplinare, sanzione poi annullata in sede giurisdizionale.
Condannata per calunnia a seguito del procedimento penale, la dipendente veniva nuovamente licenziata sulla base di quanto previsto dal CCNL di comparto che all’art. 3, co. 8, lett. e), prevedeva tale sanzione in caso di «condanna in giudicato per un delitto che, pur non attenendo in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta neanche provvisoriamente la prosecuzione per la sua specifica gravità».
La Corte ha osservato che le norme in forza delle quali erano stati disposti i due licenziamenti sanzionatorie avevano “elementi specializzanti” differenti, in quanto la prima prevedeva la sanzione del licenziamento nel caso in cui la condotta costituiva reiterazione di altri analoghi atti offensivi o denigratori, mentre la seconda aveva quale elemento specializzante la condanna penale passata in giudicato.
Tuttavia, la condotta perseguita riguardava i medesimi comportamenti denigratori, ragion per cui non può ritenersi che il secondo licenziamento riguardasse un fatto diverso.
La Corte ha osservato che “in materia di rapporto di lavoro costituisce principio del tutto consolidato quello per cui il potere disciplinare non consenta di essere reiterato, per il medesimo fatto, una volta già esercitato mediante applicazione di una sanzione e ciò anche se la prima sanzione sia minore di quella poi risultata applicabile sulla base di ulteriori circostanze, anche se sopravvenute, con la sola eccezione dell’annullamento della prima sanzione per ragioni procedurali o formali e sempre che non siano maturate altre decadenze a carico della parte datoriale”.
Se in materia di lavoro privato tale regola può considerarsi consolidata, la Corte ritiene che tale principio “non può non estendersi al settore del pubblico impiego privatizzato, in quanto soggetto alla medesima disciplina di fondo propria del contratto di lavoro.
Se è vero che è senz’altro diversa la posizione della P.A. [in forza del principio di buon andamento che ne governa l’operato (art. 97 Cost.), tanto da indurre il Legislatore a derogare dalla regola del ne bis in idem nei casi precedentemente indicati [2]], tuttavia “la portata generale del principio del ne bis in idem e la previsione espressa e specifica delle ipotesi divergenti rispetto ad esso escludono altresì che le deroghe possano essere oggetto di interpretazione estensiva o di applicazione oltre i casi da esse previsti”.
Pertanto la PA – che abbia frettolosamente disposto una sanzione disciplinare espulsiva poi annullata in sede giurisdizionale- decade dall’esercizio dell’azione disciplinare anche una volta accertata in sede penale la responsabilità del dipendente.
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[1] Cfr. art. 55 ter D. Lgs. n. 165/2001 (Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale).
[2] Ci si riferisce alle ipotesi indicate sub 2) e 3), vedi supra.