Graduatorie personale Ata. Riconoscimento del servizio militare non prestato “in costanza di nomina”. Tabelle di valutazione titoli. Illegittimità. Esclusione

Servizio militare personale Ata.

Consiglio di Stato, n. 11602/2022

Corte di Cassazione, n. 5679/2020

Due pronunce in (apparente) contrasto.

Con la sentenza depositata in data 29 dicembre 2022, il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso di numerosi precari Ata che chiedevano il riconoscimento del servizio militare reso “non in costanza di nomina”.

Com’è noto, soltanto un paio di anni fa, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 5679/2020 (su questo sito, con nota dello scrivente cui si rimanda  per un approfondimento della questione, https://www.dirittoscolastico.it/graduatorie-scolastiche-riconoscimento-del-servizio-militare-non-prestato-in-costanza-di-nomina-illegittime-le-disposizioni-ministeriali-sulla-valutazione-dei-titoli/) aveva posto fine all’annosa questione inerente al diritto al riconoscimento del servizio militare[1], disapplicando – in quanto illegittime – le disposizioni ministeriali succedutesi nel corso degli anni in materia di valutazione titoli nelle graduatorie per le supplenze.

Sulla scia di tale interpretazione, in occasione della pubblicazione delle graduatorie per supplenze per il personale Ata, sono partiti moltissimi ricorsi, in gran parte accolti dal Giudice ordinario, come peraltro riportato in questo sito.

La pronuncia (negativa) del Consiglio di Stato ha dunque colto di sorpresa gli “addetti ai lavori”, in quanto sembrerebbe porsi in contrasto con consolidata giurisprudenza in subiecta materia.

Da un’analisi approfondita della problematica, in realtà, si ritiene di poter escludere tale contrasto.

Com’è noto, la materia è regolata dall’art. 485, comma 7, del D. Lgs. n.297/1994 (per il personale docente) e dall’art. 569, comma 3 (per il personale Ata), secondo i quali “il periodo di servizio militare di leva o per richiamo e il servizio civile sostitutivo a quello di leva è valido a tutti gli effetti”.

Il Ministero, nei vari decreti di aggiornamento delle graduatorie subordinava il riconoscimento del punteggio alla circostanza che il servizio militare fosse stato prestato “in costanza di nomina”.

Il Tar Lazio, già nel 2008, aveva dichiarato l’illegittimità del decreto ministeriale di aggiornamento delle graduatorie per il personale docente, affermando che col criterio seguito dall’Amministrazione “si finirebbe per favorire solo coloro che abbiano avuto la buona sorte di effettuare il servizio militare durante l’espletamento di un servizio d’insegnamento”.

La portata assolutamente generale del 7° comma dell’art. 485 D. Lgs. 297/1994 che non è connotata da limitazioni di sorta, comporta che il riconoscimento del servizio debba necessariamente essere applicato anche alle graduatorie, onde evitare che chi ha compiuto il proprio dovere verso la nazione si trovi poi svantaggiato nelle procedure pubbliche selettive” (TAR Lazio, n. 6421/2008, 8 luglio 2008)

Col successivo riparto della giurisdizione, anche la magistratura ordinaria si orientava in senso favorevole.

Con l’entrata in vigore del nuovo codice dell’ordinamento militare, la questione veniva rimessa in discussione, in quanto l’art. 2050, comma 2, di detta norma stabiliva:“Ai fini dell’ammissibilità e della valutazione dei titoli nei concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni è da considerarsi a tutti gli effetti il periodo di tempo trascorso come militare di leva o richiamato, in pendenza di rapporto di lavoro”.

A questo punto, la giurisprudenza si divideva, ritenendo non più sussistente, in virtù della novella, il contrasto tra le disposizioni ministeriali e le norme primarie.

Altra parte della giurisprudenza propendeva da un lato per la non applicabilità al comparto scuola della disposizione di cui sopra (ritenendo invece applicabile l’art. 485 del Testo Unico della scuola, in quanto norma speciale), dall’altro per la non assimilabilità delle graduatorie scolastiche al pubblico concorso[2].

La Corte di Cassazione- nella citata ordinanza n. 5679/2020 sosteneva  l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 2050, ritenendo che anche le graduatorie ad esaurimento, per quanto non qualificabili come concorsi a fini del riparto della giurisdizione (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3032), sono selezioni lato sensu concorsuali, in quanto aperte ad una pluralità di candidati in competizione tra loro, e dunque non si sottraggono,  ad una interpretazione quanto meno estensiva della disciplina generale a tal fine dettata dalla legge”.

Tuttavia, secondo la Corte, tale circostanza non sarebbe decisiva, in quanto – da una lettura integrata dei primi due commi dell’art. 2050 – risulterebbe che tali commi non sarebbero in contrapposizione, sostanziandosi il secondo comma piuttosto in una specificazione, “nel senso che anche i servizi di leva svolti in pendenza di un rapporto di lavoro sono valutabili a fini concorsuali”.

Una contrapposizione tra quei due commi sarebbe infatti testualmente illogica (non comprendendosi per quale ragione il comma 1 si esprimerebbe con un principio di ampia portata, se poi il comma 2 ne svuotasse significativamente il contenuto) ma anche in contrasto con la razionalità che è intrinseca nella previsione, coerente altresì con il principio di cui all’art. 52, co. 2, della Costituzione, per cui chi sia chiamato ad un servizio (obbligatorio) nell’interesse della nazione non deve essere parimenti costretto a tollerare la perdita dell’utile valutazione di esso a fini concorsuali o selettivi”.

Tale lettura consentiva dunque di superare la segnalata problematica.

Secondo la Corte, infatti, “l’art. 2050 si coordina e non contrasta con l’art. 485”.

Pertanto, “il sistema generale va riconnesso al sistema scolastico, secondo un principio di fondo tale per cui, appunto, il servizio di leva obbligatorio e il servizio civile ad esso equiparato sono sempre utilmente valutabili, ai fini della carriera (art. 485 cit.) come anche dell’accesso ai ruoli (art. 2050 co. 1 cit), in ogni settore ed anche se prestati in costanza di rapporto di lavoro (art. 2050, co. 2 cit.), in misura non inferiore, rispetto ai pubblici concorsi o selezioni, di quanto previsto per i servizi prestati negli impieghi civili presso enti pubblici (art. 2050, co. 1 cit.); dovendosi disapplicare, perché illegittima, la previsione di rango regolamentare dell’art. 2, co. 6, D.M. 44/2001 che dispone diversamente, consentendo la valutazione del solo servizio reso in costanza di rapporto di lavoro, rispetto alle graduatorie ad esaurimento” (in tal senso, rispetto all’analoga previsione del D.M. 42/2009, v. Consiglio di Stato, sez. VI, 18 settembre 2015, n. 4343).

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La recentissima pronuncia del Consiglio di Stato sembrerebbe dunque costituire una cesura rispetto al consolidato orientamento giurisprudenziale del Giudice amministrativo e del G.O.

Il ragionamento del Consiglio di Stato  è il seguente.

Non è possibile equiparare la condizione di colui che – in pendenza di rapporto di lavoro in atto col Ministero dell’Istruzione- sia stato costretto ad abbandonare tale occupazione per espletare il servizio militare, con quella di coloro che all’epoca non avevano alcun rapporto di lavoro in atto.

Il problema del “servizio specifico”.

Entrambe le pronunce – a parere dello scrivente – non affrontano con la necessaria chiarezza quello che è il tema di fondo, sebbene le conclusioni cui pervengono appaiano sostanzialmente condivisibili.

Il punto è che –sia la normativa di riferimento, sia la citata pronuncia della Cassazione- affermano che il servizio militare deve essere riconosciuto come servizio svolto “presso le pubbliche amministrazioni”.

Nel caso del personale docente, le tabelle di valutazione titoli subordinavano il riconoscimento del servizio alla circostanza che lo stesso fosse stato reso “in costanza di nomina”.

Da qui, la declaratoria di illegittimità delle previsioni “di rango regolamentare” [si trattava nel caso in specie dell’art. 2, co. 6, D.M. 44/2001- N.d. R.] che disponevano diversamente.

Nel caso delle graduatorie per il personale Ata, è espressamente previsto il riconoscimento del servizio militare- sia pure non reso in costanza di nomina- con l’attribuzione di un punteggio di 0,6 punti, quale servizio prestato presso le pubbliche amministrazioni, come del resto previsto dalla normativa di riferimento e dalla stessa pronuncia della Cassazione.

Oggetto dei numerosi ricorsi presentati in questo periodo dal personale precario Ata, dunque, non è il mancato riconoscimento del servizio militare, ma la richiesta di attribuzione – per tale servizio- di  punti 6, piuttosto che 0,6.

Orbene, il punteggio di 6 punti è previsto per ogni anno di servizio come personale Ata (servizio specifico).

Il punteggio di 0,6 è invece previsto in caso di servizio reso “alle dirette dipendenze di amministrazioni statali” (servizio aspecifico).

Il Consiglio di Stato ha ritenuto non irragionevole tale diversa modulazione del punteggio, richiamando alcune sue precedenti pronunce in cui si era affermato (con riferimento al personale docente) che “sarebbe ingiustificato che il servizio di leva fosse valutato come indice di idoneità all’insegnamento, a scapito di chi ha maggiori titoli pertinenti all’attività da svolgere, atteso  che una cosa è tutelare chi deve lasciare il lavoro per adempiere agli obblighi militari, tutt’altra cosa sarebbe valutare il servizio militare come titolo di merito per un insegnamento col quale esso non ha alcuna attinenza”.

Avvocato Francesco Orecchioni

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[1] Ci si riferisce sia al servizio di leva sia al servizio civile sostitutivo.

[2] Cfr. Corte d’Appello di Bologna, n. 442/2016.