Anche la tematica relativa al diritto alle ferie torna alla ribalta con le problematiche di sempre.
Com’è noto, l’articolo 2109 cod.civ. prevede che sia il datore di lavoro a determinare quando il lavoratore debba fruire delle ferie, tenendo conto delle esigenze dell’impresa nonchè degli interessi del lavoratore medesimo.
La giurisprudenza di legittimità, anche con orientamento non recentissimo, ha avuto modo di stabilire che “l’esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente al datore di lavoro, nell’esercizio del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa…” (C.f.r. Cass. Civ. Sez. Lav. 26 luglio 2013, n. 18166), come anche che “il lavoratore non può scegliere arbitrariamente il periodo di godimento delle ferie, nè imputare a ferie le assenze per malattia, trattandosi di evento che va coordinato con le esigenze di un ordinato svolgimento dell’attività di impresa..” (C.f.r Cass. Civ. Sez. Lav. 14 Aprile 2008, n. 9816).
La Corte Costituzionale, dal canto suo, con sentenza 19 Dicembre 1990, n. 543, ha affermato che “è possibile posticipare il godimento del periodo feriale rispetto all’anno di maturazione solo per l’insorgere di esigenze di servizio eccezionali, motivate, impreviste e imprevedibili” (C.f.r. sent.cit.).
Prima di anticipare risvolti pratici occorre ulteriormente approfondire aspetti normativo- ermeneutici dell’istituto.
Tale potere di unilaterale collocazione temporale delle ferie può, tuttavia, essere temperato da eventuali previsioni della contrattazione collettiva.
Il diritto alle ferie, come anticipato, è irrinunciabile.
L’articolo 10 Dlgs 66/2003, infatti, esclude la possibilità di sostituzione delle ferie non godute con la relativa indennità solo in caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
Occorre, però, menzionare l’ipotesi (patologica) in cui il lavoratore non abbia potuto godere delle ferie.
In tal caso, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, al lavoratore spetta un’indennità sostitutiva (non espressamente prevista dalla legge), qualora non sia possibile e utile il godimento differito delle ferie. In altri termini, oltre all’indennità sostitutiva per fine rapporto, l’ordinamento riconosce una seconda tipologia di di indennità, cui fare ricorso quale extrema ratio in caso di mancato godimento delle ferie.
Il diritto irrinunciabile alle ferie gode, quindi, nel nostro ordinamento, di una rigorosa tutela di rilievo costituzionale.
In particolare, la giurisprudenza ha precisato che, ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva anche in assenza di responsabilità del datore di lavoro.
Tale emolumento riveste una doppia natura: da un lato assolve a una fondamentale funzione risarcitoria, in quanto idoneo a compensare il danno costituito dalla perdita del bene de quo, dall’altro costituisce un’erogazione di natura retributiva, rappresentando un ulteriore corrispettivo per l’attività lavorativa resa in un periodo che, pur essendo di per sè retribuito, avrebbe dovuto essere non lavorato e destinato al godimento delle ferie annuali (C.f.r. Cass. SSUU Sentenza 11 settembre 2013, n. 20836).
Ne consegue che per giurisprudenza maggioritaria sono illegittime, per contrasto con norme imperative, quelle disposizioni di contratti collettivi che escludono il diritto del lavoratore all’equivalente economico per le ferie non godute il momento della risoluzione del rapporto, a meno che lo stesso abbia disatteso la specifica offerta di fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro.
Si ricorda infine che le ferie sono ritenute incompatibili con la malattia, la quale interrompe il decorso delle medesime, ove comunicata al datore di lavoro.
È necessario. tuttavia, che la malattia sia di gravità tale da compromettere l’essenziale funzione di riposo delle ferie (Galantino).
Diversamente non sussiste l’incompatibilità.
Il decreto legislativo n. 151 del 14 settembre 2015 ha previsto, all’articolo 24, la possibilità per i lavoratori di cedere tra loro, a titolo gratuito, i riposi e le ferie maturati, con esclusione del periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane e dei giorni minimi di riposo stabiliti dal Dlgs 66/2003.
La norma prevede che la definizione delle condizioni e delle modalità di cessione siano in concreto definite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (per ogni riferimento normativo, dottrinario, giurisprudenziale: C.f.r.: Zaccardi: Manuale di Diritto del Lavoro, Ed. Nel Diritto, pagg. 135 ss.)
Alcuni risvolti di ordine normativo recenti
Andiamo ora a alcune questioni recenti, scaturenti sia dal recente dpcm in materia di protezione della salute dei lavoratori, sia in riferimento a una circolare, precisamente la 2/2020 del MIUR, in cui l’istituto viene trattato.
Orbene, nel dpcm citato, viene espressamente stabilito di “agevolare o le forme di lavoro agile o le ferie dei dipendenti”.
Nella circolare summenzionata, invece, viene stabilito che “i dirigenti scolastici, ai sensi dell’art. 87, c. 3 del d.l. 18/2020, dispongono, ad ampliamento di quanto già indicato dalla Nota dipartimentale 323/2020, l’adozione “degli strumenti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione e di altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva”.
Vengono quindi usati, in punto di diritto, due termini in particolare.
Nel primo caso agevolare.
Nel secondo caso disporre.
Nel tralasciare le specifiche questioni, quindi, occorre concentrarsi, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale e di legittimità sopra citata, sulla terminologia.
Che, nel senso del codice e di un’interpretazione costituzionalmente diretta non è nè l’una né l’altra sopra menzionata, ma è invece contemperare.
Contemperare.
Questa parola, potrebbe anche essere tradotta con concertare, mettersi d’accordo.
Per diretta conseguenza, laddove, anche in ragione di un recupero delle ferie pregresse non è il datore a dover agevolare o disporre, al pari del lavoratore, ovviamente, che non deve utilizzare un diritto di rango costituzionale come mero arbitrio.
Se da un lato, infatti, è un’abnormità far recuperare ferie, che comunque al più andrebbero monetizzate, come anche da Dlgs66/2003, articolo 10, dall’altro chiaro che il lavoratore non può, di per ciò solo, creare pregiudizio all’azienda.
D’altro canto, stante alla stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale, le ferie possono essere posticipate “solo per l’insorgere di esigenze di servizio eccezionali, motivate, impreviste e imprevedibili” (c.f.r Corte Cost. cit.).
Quindi, gli scenari possono essere diversi: o tale diritto può essere subordinato solo a esigenze eccezionali e qui i provvedimenti tutti possono avere una ratio, o, diversamente, mancando tale prova pratica, si è nel campo dell’illegittimità.
Illegittimità tanto più dimostrabile dal fatto che l’articolo 36 Cost. parla di un diritto irrinunciabile.
Quindi di un diritto assoluto, che, se leso, come anche da normativa d.lgs. 66/2003, deve essere adeguatamente risarcito. Non è dunque in sè tanto una questione di termini o di operazioni che vengono poste in essere, laddove però le stesse operazioni, gli stessi provvedimenti datoriali non rechino in sè qualcosa per ledere i diritti dei lavoratori specialmente se costituzionalmente garantiti.
Semmai trattasi di applicazione pratica e dei risvolti del diritto stesso alle ferie.
Che, in quanto diritto di rango costituzionale, abbisogna anche di un quid per la sua applicazione pratica.
Questa applicazione pratica tuttavia, fa specifico riferimento, come anche da giurisprudenza di legittimità, a un contemperare.
Quindi, diversamente a dirsi, ogni altra interpretazione o applicazione rasenta l’illegittimità.
Avv. Michele Vissani
Vicolo Lungo 4
62027 San Severino Marche (MC)