Cass. Civile Sez. Lavoro – Ordinanza n. 19619/2020 – Presidente Tria- Relatore Di Paolantonio
La Cassazione si chiede se l’ostensione del crocifisso possa rappresentare una discriminazione indiretta. Sollecitata una pronuncia delle Sezioni Unite che sul tema.
La pronuncia in commento ritorna su una questione mai sopita e probabilmente mai affrontata in maniera complessiva.
Sul punto, com’è noto, vengono in questione principi e diritti di rango costituzionale, quali la laicità dello Stato e la libertà d’insegnamento, oltre che il principio di uguaglianza e di non discriminazione.
Il caso nasce dalla condotta di un docente di un istituto superiore che era solito rimuovere il crocifisso durante la propria lezione, per poi ricollocarlo al suo posto al termine della stessa.
Si precisa che nessuna legge impone o prevede la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche; la questione è disciplinata da regolamenti, risalenti nel tempo, tra l’altro applicabili alle scuole medie inferiori (per le quali l’art. 118 del Regio Decreto n. 965/1924 prevedeva che «ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e il ritratto del Re») ed alle scuole elementari (i cui arredi erano elencati nella tabella C allegata al R.D. n. 1297/1928, richiamata dall’art. 119 del regolamento).
Più recentemente, una direttiva del MIUR (n. 2667 del 3.10.2002) ha richiamato l’attenzione dei dirigenti scolastici sull’esigenza di adottare «iniziative idonee ad assicurare la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche».
Dunque, nel caso degli istituti superiori, manca persino una norma regolamentare che imponga l’affissione del crocifisso nelle aule.
Nella scuola de qua, erano stati gli studenti a chiedere che il crocifisso fosse affisso in tutte le aule e il Dirigente Scolastico, aderendo a tale richiesta, aveva provveduto di conseguenza.
Il docente- ritenendo tale decisione discriminatoria e lesiva della libertà di insegnamento- provvedeva “in autotutela” a rimuovere il crocifisso durante la sua ora di lezione, incappando così nella sanzione disciplinare della sospensione dall’insegnamento per trenta giorni.
Dal ricorso del docente avverso tale sanzione, prende appunto le mosse il procedimento de quo.
* * * * * *
La Corte ha ripercorso la giurisprudenza in subiecta materia del giudice amministrativo e costituzionale, oltre che della stessa Corte e di quella europea, ritenendo comunque non appaganti e risolutive tali pronunce.
In particolare, ha osservato come per il Consiglio di Stato (che ha escluso l’abrogazione tacita delle disposizioni regolamentari in forza della legislazione sopravvenuta)[1] l’esposizione del crocifisso in ambito scolastico svolga una funzione “simbolica educativa” nei confronti degli alunni, credenti e non credenti, in quanto richiamante valori laici, quali tolleranza, rispetto reciproco e valorizzazione della persona, escludendo pertanto che la sua esposizione possa assumere un significato discriminatorio (C.d.S. n.556/2006).
Tale interpretazione non è stata condivisa dalla Cassazione che- seppure in sede penale- ha posto viceversa l’accento sulla natura esclusivamente religiosa del simbolo (Cass. penale, n. 4273/2000)[2].
Anche la CEDU (Grande Camera 18.3.2011- Lautsi ed altri contro Italia) ha affermato il carattere religioso del simbolo, escludendo però nello stesso tempo la violazione del principio di neutralità dello Stato, in forza del ruolo “essenzialmente passivo” derivante dall’esposizione del crocifisso.
La Cassazione si chiede però se- una volta esclusa l’influenza dell’esposizione del crocifisso sull’educazione degli allievi – possa dirsi altrettanto nei confronti del “soggetto che è chiamato a svolgere la funzione educativa”, “di tal ché si potrebbe dubitare dell’asserito “ruolo passivo” qualora all’esposizione del simbolo si attribuisse il significato di evidenziare uno stretto collegamento fra la funzione esercitata ed i valori fondanti il credo religioso che quel simbolo richiama”.
Nel richiamare quanto ritenuto in proposito dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 67/2017) che ha definito il principio di laicità dello Stato «non come indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, bensì come tutela del pluralismo, a sostegno della massima espansione della libertà di tutti, secondo criteri di imparzialità», la Corte si chiede inoltre se nell’esposizione del simbolo sia ravvisabile una lesione della libertà di coscienza e di religione del docente, “minata dal richiamo di valori propri di un determinato credo religioso a fondamento dell’attività pubblica prestata”.
Altro aspetto da approfondire, è se (come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa – TAR Brescia n. 603/2006) occorra valorizzare in proposito la volontà espressa dalla maggioranza degli alunni, dei genitori e del personale docente.
La Cassazione dichiara di non poter aderire a tale interpretazione, in quanto tale tesi si porrebbe in contrasto con i principi affermati dalla Corte Costituzionale, secondo cui in materia di religione nessun rilievo può essere attribuito al criterio quantitativo, perché si impone la «pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione religiosa di appartenenza» (Corte Cost. n. 440/1995 richiamata da Corte Cost. n. 329/1997).
A questo punto, la Corte si chiede se- tutto sommato- la condotta di rimozione del crocifisso adottata dal docente non realizzasse appunto quella indispensabile mediazione tra volontà manifestata dalla maggioranza degli alunni e l’opposta esigenza del docente, nel quadro di quell’indispensabile indagine che il diritto antidiscriminatorio richiede sull’appropriatezza del mezzo utilizzato rispetto alla finalità perseguita.
Sulla base di quanto sopra, il Collegio – ravvisando, in ragione della natura dei diritti che vengono in rilievo, questioni riconducibili a quelle «di massima di particolare importanza» di cui all’art. 374, secondo comma, c.p.c. – ha ritenuto opportuna la trasmissione degli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
***
[1] Circostanza non determinante, trattandosi nel caso in specie di scuole superiori.
[2] Né poteva la Corte territoriale valorizzare la pronuncia delle Sezioni Unite (n. 15614/2006) relativa al caso di un magistrato che – pur avendo avuto a disposizione per lo svolgimento delle sue funzioni un’aula dalla quale era stato rimosso il crocifisso– si era rifiutato di esercitare la giurisdizione.