Corte d’Appello di Milano – Sentenza n. 709 del 15 maggio 2012


No al riconoscimento degli scatti di anzianità.

 

Nota di commento dell’Avv. Francesco Orecchioni

Testo della sentenza in pdf

 

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N. 31/2012 R.G.L. App. N. 0709/2012 Sent.

Repubblica Italiana – In nome del popolo italiano

LA CORTE Dl APPELLO DI MILANO

SEZIONE LAVORO

nelle persone dei Sigg.ri Magistrati:

1) dott. Giovanni Canzio Presidente relatore

2) dott. Carlo Crivelli Consigliere

3) dott. Angela Cincotti Consigliere

ha pronunziato all’udienza dell’11 maggio 2012 la seguente

SENTENZA

nella causa di lavoro n. 31/2012 R.G.L., avente ad oggetto appello avverso sentenza del Tribunale di Milano n. 6020/2011 in materia di “contratti a termine”, promossa da:

MINISTERO DELL’ ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA (MIUR), in persona del Ministro in carica, rappresentato dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano e presso gli uffici della stessa domiciliato

appellante

contro

[omissis], rappresentata e difesa dagli Avv.ti [omissis] ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, Via [omissis] Milano

appellata / appellante incidentale

I procuratori delle parti hanno concluso come da foglio a parte.

Ritenuto in fatto:

che, con la sentenza in epigrafe, il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità dei plurimi contratti a termine stipulati, in veste di “supplente” – docente – e in sequenza annuale, fra la ricorrente e il MIUR e, per l’effetto, ha condannato il Ministero al risarcimento del danno equitativo e al pagamento delle differenze retributive corrispondenti alla effettiva anzianità di servizio, peraltro respingendo la domanda principale di conversione dei contratti a termine in rapporto a tempo indeterminato;

che ha proposto appello il Ministero, eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione e chiedendo, nel merito, il rigetto delle domande attoree alla stregua dei motivi già esposti in prime cure, con particolare riguardo all’asserita inapplicabilità della disciplina generale dettata dal d.lgs. n. 368 del 2001 per i contratti a termine, in virtù delle speciali previsioni della normativa di dettaglio per le supplenze del personale docente e ATA nel settore scolastico, nonché all’insussistenza di alcun profilo di discriminazione, sul piano retributivo, rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato nel medesimo settore;

che si é costituita la ricorrente chiedendo il rigetto dell’appello principale e, in via incidentale, l’integrazione della condanna del MIUR al risarcimento del danno in misura più adeguata;

Considerato in diritto:

che è infondata l’eccezione preliminare di difetto di giurisdizione, già formulata e disattesa in prime cure e ribadita in questa sede dall’appellante Ministero, perché al Giudice amministrativo sono devolute solo le questioni relative alle procedure concorsuali, mentre per i rapporti di lavoro in atto la giurisdizione del Giudice ordinario è stabilita espressamente dall’art. 63 d.lgs. n. 165 del 2001;

che l’appello del Ministero è, peraltro, fondato nel merito per le ragioni appresso indicate, restando così assorbito l’esame dell’appello incidentale della ricorrente;

che, alla stregua di un’attenta analisi del quadro normativo di riferimento, il sistema di reclutamento del personale scolastico (a partire dal d.lgs. n. 297 del 1994, recante il t.u. in materia di istruzione), sia docente che amministrativo, deve intendersi in sé compiuto rispetto al personale delle altre PP.AA., anche per quanto concerne il conferimento delle supplenze “annuali” (a copertura di posti vacanti e con durata pari all’intero anno scolastico) e “temporanee” (fino al termine delle attività didattiche a copertura di posti non vacanti o con durata inferiore per gli altri casi di scopertura), mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, che trovano la fonte normativa nell’art. 4, commi 1-2-3-11, della legge n. 124 del 1999 e nella disciplina regolamentare dettata dai dd.mm. n. 201/2000, n. 430/2000 e n. 131/2007 quanto all’utilizzo delle graduatorie, prima “permanenti” e oggi “ad esaurimento”;

che la tipicità delle forme proprie del reclutamento del personale scolastico ne esclude in radice la compatibilità con la disciplina dettata in via generale per i contratti di lavoro a tempo determinato dagli artt. 1, 4 e 5 del d.lgs. n. 368 del 2001, con il quale sono stati recepiti nell’ordinamento interno l’Accordo quadro CTD sul lavoro a tempo determinato del 18/3/1999 e la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28/6/1999;

che il carattere di autonomia e specialità, quanto a procedure di reclutamento del personale della scuola, a tipologia e durata delle supplenze scolastiche ed a modalità d’individuazione del supplente, risulta, d’altra parte, ribadito dal legislatore: dapprima nell’art. 36, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, recante, nel settore pubblico, il generale divieto di conversione dei contratti a termine pure “irregolari” in rapporti a tempo determinato (per il cui scrutinio di conformità agli artt. 3 e 97 Cost., v. C. cost. n. 89 del 2003); più di recente, sia nell’art. 1, comma 1, d.l. n. 134/2009, che ha inserito il comma 14-bis all’art. 4 l. n. 124/1999, sia nell’art. 9, comma 18, d.l. n. 70/2011 conv. in l. n. 106/2011, statuendosi, per un verso, che “i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze, in quanto necessari per garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo in caso di immissione in ruolo”, e, per altro verso, che “sono altresì esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente e ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente e ATA”;

che l’inoperatività del principio di conversione e l’inapplicabilità di un limite massimo alla reiterazione dei contratti a termine, ove permanga la necessità di sostituzione, trovano puntuale giustificazione, pertanto, nel precipuo interesse pubblico alla continuità didattica;

che, con particolare riguardo alla compatibilità di siffatto sistema di reclutamento del personale scolastico con l’Accordo quadro CTD e con la Direttiva 1999/70/CE (le cui clausole, in specie quella sub 5.1, lett. a-b-c, mirano a prevenire l’abuso di una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato, con la conseguente precarizzazione del lavoratore dipendente, e sono in linea di massima applicabili anche alle pubbliche amministrazioni), la reiterazione dei contratti a termine in tanto può dirsi conforme al diritto dell’Unione Europea in quanto sia sorretta da “ragioni obiettive” che la giustificano, ravvisabili in “circostanze precise e concrete che contraddistinguono una certa attività e perciò tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di contratti a tempo determinato successivi”, escludendone il ricorso abusivo al tipo contrattuale proprio perché connotati da “temporaneità” (in tal senso, da ultimo, v. Corte di Giustizia Europea, 26/1/2012, Kücük, e ivi richiamati i numerosi precedenti);

che, pertanto, sia per le supplenze “annuali”, di cui al primo comma dell’art. 4 d.lgs. n. 124/1999, dirette alla copertura di posti compresi nella pianta organica e però “vacanti”, sia per quelle “temporanee” di cui ai successivi commi 2 e 3, per la copertura di posti “non vacanti” e di fatto disponibili, ovvero nei casi di temporanea assenza del titolare per malattia, congedo, aspettativa ecc., non è ravvisabile alcun abuso nell’eventuale reiterazione degli incarichi a termine, essendo – tutti – giustificati da un’esigenza oggettiva di reclutamento di personale sostitutivo connotata da “temporaneità”, che è quella di assicurare la continuità del servizio scolastico (obiettivo di sicura rilevanza costituzionale), a fronte di circostanze contingenti legate alle cicliche variazioni in aumento o in diminuzione e alla dislocazione geografica della popolazione scolastica nei diversi contesti spazio-temporali, da cui conseguono necessariamente le flessibili cadenze nell’espletamento delle procedure concorsuali;

che, d’altra parte, non può certo imporsi alla pubblica Amministrazione di soddisfare la predetta esigenza mediante la costante implementazione e la precostituzione di una stabile riserva di personale scolastico, all’esito di apposite procedure concorsuali che la medesima Amministrazione non è affatto autorizzata a bandire a causa di insopprimibili esigenze di contenimento della spesa pubblica e di bilancio dello Stato, anch’esse di rilievo primario e meritevoli di uguale considerazione da parte dell’interprete;

che, nella specie, valutati i contratti stipulati dalla ricorrente con l’Amministrazione scolastica alla luce del descritto quadro normativo ed ermeneutico, non è ravvisabile la violazione dei principi dell’ordinamento comunitario nei rapporti a termine instaurati senza soluzione di continuità per alcuni anni, talora presso il medesimo istituto scolastico e mediante incarichi di supplenza “annuale”;

che, una volta riconosciuta l’armonizzazione dell’ordinamento interno con la menzionata normativa sovranazionale ed esclusa l’abusività della reiterazione degli incarichi a termine, non trova applicazione la convertibilità dei suddetti contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, – come lineare e logico corollario – la forma rimediale del risarcimento del danno da liquidarsi equitativamente;

che, constatata la legittimità e l’efficacia, per ogni aspetto, dei contratti a termine consecutivamente intercorsi fra le parti, ad analoga valutazione negativa deve pervenirsi anche con riguardo alla specifica domanda attinente al profilo del trattamento retributivo e al riconoscimento delle pretese differenze retributive rispetto a quanto effettivamente percepito, sulla base degli scatti di anzianità e delle fasce stipendiali che sono propri del lavoratore assunto a tempo indeterminato dall’Amministrazione scolastica, di pari livello e anzianità e che pure abbia svolto prestazioni lavorative asseritamente “comparabili”;

che la soluzione interpretativa sfavorevole alla ricorrente si fonda sulla medesima ratio decidendi che presidia il rigetto delle domande di conversione dei contratti a termine e di risarcimento danni, cioè sull’ammessa conformità dell’ordinamento nazionale in materia di procedure di reclutamento e trattamento retributivo del personale scolastico – quanto, in particolare, alla reiterazione degli incarichi di supplenza – con i principi comunitari dettati, con specifico riguardo al principio di non discriminazione del lavoro a termine, dalla clausola 4, punti 1 e 4, dell’Accordo quadro CTD e della Direttiva del Consiglio 1999/70/CE (nell’interpretazione offerta, ancora di recente, dalla Corte di Giustizia Europea, 22/12/2010, Gavieiro Gavieiro – Iglesias Torres e 13/9/2007, Del Cerro Alonso);

che la (invero parziale) diversità di trattamento nelle “condizioni di impiego” e nella “indennità per anzianità di servizio” dei lavoratori a termine nel settore scolastico risulta sorretta, infatti, da “ragioni oggettive” o “motivazioni oggettive” che, siccome attinenti alla “specialità” del sistema, la giustificano;

che il peculiare sistema retributivo del personale assunto con contratto a tempo indeterminato, che è fissato sulla base di fasce stipendiali commisurate agli anni di servizio e ai conseguenti scatti di anzianità, presuppone che il lavoratore risulti immesso nel ruolo organico dell’Amministrazione scolastica, all’esito non solo di un’apposita procedura concorsuale ma anche del positivo superamento di un congruo periodo di prova, cui s’accompagnano ulteriori, specifici, doveri, quali – ad esempio – quelli del trasferimento nei casi di eccedenza del personale e della disponibilità in taluni periodi estivi per attività formative e altro;

che, per contro, l’Amministrazione scolastica ha il dovere di attenersi comunque all’ordine della graduatoria sulla base della quale il lavoratore a termine viene individuato, in applicazione di criteri predeterminati e automatici e in assenza di alcun margine di discrezionalità, mentre questi non è sottoposto ad alcuna prova né è tenuto a trasferirsi per eccedenza di personale o a rendersi disponibile nel periodo estivo, a differenza del docente o del collaboratore scolastico assunto a tempo indeterminato;

che, alla luce dei descritti elementi precisi e concreti che ne contraddistinguono il rapporto d’impiego, deve convenirsi che il più favorevole trattamento stipendiale del personale scolastico a tempo indeterminato trova giustificazione proprio in talune indefettibili specificità di sistema, che restano estranee – come si è visto – alla disciplina degli incarichi di natura precaria, benché reiterati, e dei conseguenti doveri professionali, nonostante l’apparente uniformità del contenuto delle prestazioni;

che, d’altra parte, depongono a favore degli interessi del lavoratore a termine le circostanze per le quali, per un verso, i criteri fissati per l’individuazione del supplente (sulla base della posizione in graduatoria, aggiornata con il maggior punteggio di volta in volta acquisito per l’attività di fatto prestata con le precedenti supplenze) ne agevolano le possibilità di occupazione mediante la prosecuzione dei rapporti temporanei, in vista dell’immissione definitiva in ruolo (come si è effettivamente verificato, nelle more del giudizio, per la ricorrente) secondo il meccanismo del c.d. “doppio canale” di cui all’art. 399 d.lgs. n. 297/1994 e succ. modif., e, per altro verso, dall’eventuale e sopravvenuta immissione in ruolo del supplente consegue ope legis la ricostruzione della carriera e della progressione stipendiale, dovendosi tenere conto del c.d. pre-ruolo e cioè della pregressa esperienza professionale acquisita nel servizio prestato (in quest’ottica, v. le fattispecie concrete prese in esame nelle citate decisioni della Corte di Giustizia, Del Cerro e Gavieiro-Torres);

che neppure risulta condivisibile (ai fini dell’attribuzione al personale non di ruolo di aumenti periodici per ogni biennio di servizio in ragione del 2,50% sullo stipendio iniziale) il riferimento alla fonte normativa costituita dall’art. 53 legge n. 312 del 1980, richiamata dagli artt. 142 CCNL 2002-2005 e 146 CCNL 2006-2009 Comparto Scuola, sulla quale sembra fare leva il più recente orientamento giurisprudenziale adottato dalla Corte d’appello di Torino (sent. n. 45/2012) per la soluzione di analoghe controversie;

che l’art. 53 legge n. 312/1980 cit. attribuisce, infatti, siffatto beneficio – “escluse le supplenze” – ai soli docenti destinatari di incarichi annuali per la copertura di posti vacanti non di ruolo, assunti su nomina del Provveditore agli studi con rapporto a tempo indeterminato ai sensi della legge n. 282/1969, sicché alla proposta equiparazione alla figura degli attuali supplenti annuali della categoria dei “vecchi” incaricati – peraltro da lungo tempo soppressa -, ai fini del dedotto incremento economico, osta la significativa attribuzione a quest’ultimi della qualifica di dipendenti “a tempo indeterminato” (cfr., in senso conforme, Cass., sez. lav., n. 8060/2011; Cons. Stato, Sez. VI, n. 2163/2000);

che, ai fini della decisione di merito, non è peraltro necessario il rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea – a norma dell’art. 267 Trattato sul funzionamento dell’UE – della questione pregiudiziale concernente l’esatta interpretazione delle clausole 4, punti 1 e 4, e 5 punto 1 dell’Accordo quadro CTD sul lavoro a tempo determinato del 18/3/1999 e della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28/6/1999, in riferimento alla normativa nazionale regolatrice del sistema di reclutamento e trattamento retributivo del personale scolastico;

che, invero, risulta già elaborata in materia dalla Corte di giustizia un’ampia giurisprudenza (v., ex plurimis, sent. 26/1/2012, Kücük; sent. 22/12/2010, Gavieiro Gavieiro – Iglesias Torres; sent. 13/9/2007, Del Cerro Alonso), la quale – nei termini suindicati in motivazione – consente agevolmente la corretta applicazione dei menzionati principi comunitari alla situazione di fatto in esame, senza che sia necessario affidarne nuovamente la soluzione interpretativa alla medesima Corte;

che, in definitiva, vanno respinte tutte le domande formulate dalla ricorrente col ricorso introduttivo del giudizio, siccome infondate;

che la novità e la complessità delle questioni controverse giustifica, peraltro, la compensazione fra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio;

P.Q.M.

In riforma dell’impugnata sentenza, rigetta tutte le domande proposte dalla ricorrente col ricorso introduttivo del giudizio.

Dichiara compensate per intero fra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Così deciso in Milano all’udienza dell’ 11 maggio 2012.

Il Presidente estensore

(Giovanni Canzio)

Pubblicata il 15 maggio 2012