La sezione lavoro della Suprema Corte di Cassazione, con un’articolata sentenza pubblicata nei giorni scorsi (n. 18698 /22) ha posto la parola fine ad una vertenza tra un docente di religione della provincia dell’Aquila, assistito dagli avvocati Salvatore Braghini e Renzo Lancia (del foro di Avezzano), e Simone Lamarra (del foro di Roma), e il Ministero dell’Istruzione, affermando un principio di diritto specifico per questa tipologia di docenti.
Il ricorso era introdotto da un docente della scuola secondaria di II grado di Avezzano nel 2012 per chiedere l’immissione in ruolo e in subordine il risarcimento del danno per abusiva reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi. Il Tribunale di Avezzano, con la sentenza del 13 gennaio 2015, respingeva la richiesta di immissione in ruolo e accoglieva l’istanza risarcitoria del professore, in servizio nella scuola statale senza soluzione di continuità dal 1993, condannando il MIUR al risarcimento dei danni pari a 10 mensilità.
Il Ministero, però, impugnava la sentenza chiedendone la riforma in quanto sosteneva che la normativa specifica dei docenti di religione era stata rispettata senza incorrere in nessuna violazione del principio di non discriminazione.
Nel dicembre 2017, il Collegio della sezione lavoro della Corte d’Appello dell’Aquila confermava il risarcimento e rigettava l’appello incidentale volto a rilanciare la domandava di arruolamento.
La pronuncia della Corte abruzzese si poneva quale punto di riferimento della giurisprudenza delle Corti regionali, con una disamina puntuale della normativa coinvolta, partendo da quella comunitaria per passare al diritto interno, declinandone i principi alla specifica disciplina dei docenti di religione, per i quali la legge 186/03 – evidenziava il Collegio – ha previsto un peculiare sistema di reclutamento senza che ciò giustifichi la prassi di lasciare scoperti un numero rilevante di posti per un tempo potenzialmente indefinito, posti cioè destinati a rimanere vacanti e disponibili per l’intero anno scolastico in quanto privi di titolare.
L’odierna sentenza della Suprema Corte, nel confermare la sussistenza dell’abuso ha censurato, altresì, la mancata indizione dei concorsi ogni tre anni come previsto dalla predetta legge, affermando che «Stante l’impossibilità di conversione a tempo indeterminato dei contratti annuali dei docenti non di ruolo di religione cattolica in corso, per i quali la contrattazione collettiva stabilisce la conferma al permanere delle condizioni e dei requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge, i medesimi rapporti proseguono, nonostante il reiterarsi di essi nel tempo e ciò in ragione dell’indirizzo della pronuncia della Corte di Giustizia in materia, secondo cui l’interpretazione del diritto interno in coerenza con i principi eurounitari non può tradursi in ragione di pregiudizio per i lavoratori, salvo il diritto al risarcimento del danno per la mancata indizione dei concorsi triennali quali previsti dalla legge per l’accesso ai ruoli».
Sul requisito dell’idoneità introdotto dal Ministero nel ricorso alla Corte di legittimità per evidenziare l’unicità della condizione giuridica del docente di Religione, suscettiva di legittimare la reiterazione contrattuale anche in ragione della quota riservata al 30% delle cattedre su base diocesana, la sentenza in commento stabilisce, viceversa, l’irrilevanza del controllo esercitato dalla Chiesa, che avviene non sul tipo di rapporto giuridico, riservato allo Stato, bensì sulla persona dell’insegnante di religione cattolica, attraverso i meccanismi del rilascio dell’idoneità e della partecipazione alla fase della nomina, onde sia garantita la conformità del docente a determinati standard di natura sia culturale che etica.
La Cassazione, quindi, richiamandosi anche alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 gennaio scorso che condanna l’Italia per l’abusiva reiterazione dei contratti dei docenti di religione, ha rigettato il ricorso del MIUR stabilendo che “Nel regime speciale di assunzione a tempo determinato dei docenti di religione cattolica nella scuola pubblica, di cui alla L. 186/2003, costituisce abuso nell’utilizzazione della contrattazione a termine sia il protrarsi di rapporti annuali a rinnovo automatico o comunque senza soluzione di continuità per un periodo superiore a tre annualità scolastiche, in mancanza di indizione del concorso triennale, sia l’utilizzazione discontinua del docente, in talune annualità, per ragioni di eccedenza rispetto al fabbisogno, a condizione, in quest’ultimo caso, che si determini una durata complessiva di rapporti a termine superiore alle tre annualità. In tutte le menzionate ipotesi di abuso sorge il diritto dei docenti al risarcimento del danno c.d. eurounitario, con applicazione, anche in ragione della gravità del pregiudizio, dei parametri di cui all’art. 32, co. 5, L. 183/2010 (poi, art. 28, co. 2, d. lgs. 81/2015) oltre al ristoro, se provato, del maggior danno sofferto, non essendo invece riconoscibile la trasformazione di diritto in rapporti a tempo indeterminato».
L’avvocato Salvatore Braghini, nell’esprimere soddisfazione per la conclusione della lunghissima vertenza favorevole al lavoratore, sottolinea che “l’odierna decisione della Suprema Corte di Cassazione sia quella del gennaio 2022 della Corte di Giustizia dell’Unione europea, hanno riconosciuto ancora una volta le ragioni di un docente, come molti altri in Italia, ingiustamente logorato da un lungo precariato“.
Avezzano, 02 luglio 2022 Avv. Salvatore Braghini