Nel “mare magnum” della scuola italiana spesso si incontrano e si scontrano esempi significativi di inclusione scolastica, e tragiche mancanze di presa in carico di studenti con bisogni educativi speciali (disabilità, disturbi specifici di apprendimento, area del disagio).
Frequentemente i Piani educativi individualizzati (PEI) e i Piani didattici personalizzati PDP), rispettivamente obbligatori per studenti disabili, e con disturbi specifici di apprendimento, si riducono a meri adempimenti burocratici con natura prettamente formale, rispetto ai quali inoltre, nella concreta prassi didattica, spesso emergono negligenze, dimenticanze, e disapplicazioni.
E pensare che l’art. 2 della legge n. 170/2010 recita:
“Art. 2 Finalità 1. La presente legge persegue, per le persone con DSA, le seguenti finalità: a) garantire il diritto all’istruzione; b) favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto, garantire una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialità; c) ridurre i disagi relazionali ed emozionali; d) adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessità formative degli studenti; e) preparare gli insegnanti e sensibilizzare i genitori nei confronti delle problematiche legate ai DSA; f) favorire la diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi; g) incrementare la comunicazione e la collaborazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari durante il percorso di istruzione e di formazione; h) assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito sociale e professionale.”
A riprova di un quadro a volte poco confortante, una recente lettera aperta indirizzata agli Istituti scolastici del 3 maggio 2021 dell’Associazione Italiana Dislessia in cui si può leggere:
“Molti degli strumenti che sono stati concordati a inizio anno scolastico nei Piani Didattici Personalizzati (PDP) si sono infranti davanti al muro di supposte esigenze organizzative di troppe istituzioni scolastiche, con il risultato che le misure e gli strumenti che avrebbero dovuto consentire di vivere con serenità il proprio percorso scolastico, di compensare adeguatamente le proprie difficoltà, di vivere un processo valutativo equo e inclusivo, sono venuti progressivamente a mancare con il procedere dell’anno scolastico.”
La stessa nota del MIUR n. 562/2019 non a caso richiama il rischio di una “burocratizzazione” del PDP:
“il Piano Didattico Personalizzato non deve essere un semplice adempimento burocratico, ma uno strumento condiviso per consentire ad un alunno di dialogare e di cooperare con il gruppo classe, nell’ ottica della progettazione inclusiva di classe, della corresponsabilità educativa di ogni componente scolastica, per il raggiungimento degli obiettivi previsti secondo il ritmo e lo stile di apprendimento di ciascuno.”
Ancora più grave è la situazione per gli studenti con bisogni educativi speciali connessi al disagio, per i quali non è obbligatoria la redazione di un piano didattico personalizzato, ma è solo obbligatorio che il Consiglio di Classe valuti il caso e deliberi se adottare o meno un piano didattico personalizzato (CM n. 8/2013; nota del MIUR n. 2563/2013); in questi casi non solo il piano didattico personalizzato prodotto è spesso, come già detto, un mero strumento burocratico, ma a volte si arriva persino all’omissione da parte dei Consigli di Classe della presa in carico delle situazioni di cui vengono a conoscenza, e di valutare se adottare o meno il piano didattico personalizzato. Il probabile movente di tale omissione è duplice: riduzione dei carichi di lavoro, e soprattutto eliminazione dei vincoli didattici derivanti dall’adozione di un piano didattico personalizzato; in merito una illuminate sentenza del Tar della Toscana (n. 529/2014):
“Ed è proprio nella violazione dell’autovincolo assunto dal Consiglio di classe che risiede l’illegittimità del provvedimento: infatti, una volta riconosciuta la condizione dello studente come alunno con bisogni educativi speciali, ancorché in presenza di una certificazione sanitaria non rispondente ai requisiti indicati dalla legge, il Consiglio di classe avrebbe dovuto coerentemente orientare le proprie valutazioni.”
Risulta pertanto chiaro che la non adozione del piano didattico personalizzato protegge da eventuali pretese e ricorsi avverso i Consigli di Classe “svogliati”.
Tanto premesso, nella convinzione che la tutela dei diritti trova il suo fondamento nella conoscenza degli stessi, tenendo presente che quanto contenuto nella legge n. 170/2010, nel DM n. 5669/2011, e nelle Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento, sono applicabili, in base al DM 27 dicembre 2012, a tutte le forme di bisogni educativi speciali, di seguito la trattazione di alcuni aspetti riguardanti il piano didattico personalizzato, e quanto indicato dal citato decreto ministeriale:
“Le scuole – con determinazioni assunte dai Consigli di classe, risultanti dall’esame della documentazione clinica presentata dalle famiglie e sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e didattico – possono avvalersi per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalle disposizioni attuative della Legge 170/2010 (DM 5669/2011), meglio descritte nelle allegate Linee guida.”
Giuridicamente il piano didattico personalizzato è un provvedimento amministrativo, al pari del piano educativo individualizzato; pertanto in primis soggiace a quanto previsto dalla legge n. 241/1990, con particolare riferimento agli artt. 1-10 bis, all’art. 18 bis, e agli artt. 21 bis- 21 decies.
Non a caso l’art. 5, comma 1, della legge n. 170/2010 recita:
“Gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari.”
Il termine provvedimento (di natura tecnica e didattica) implica che esso possa essere esclusivamente assunto dall’organo competente in merito per il ciclo di istruzione, ossia il Consiglio di Classe (dlg.s n. 297/1994; DM 27 dicembre 2012; CM n. 8/2013; nota del MIUR n. 2563/2013).
In base a quanto previsto dall’art. n. 5 del DM n. 5669/2011 (normativa nella quale per la prima volta compare il termine “piano didattico personalizzato”):
“1. La scuola garantisce ed esplicita, nei confronti di alunni e studenti con DSA, interventi didattici individualizzati e personalizzati, anche attraverso la redazione di un Piano didattico personalizzato, con l’indicazione degli strumenti compensativi e delle misure dispensative adottate.”
Tale obbligo è ribadito dalla cm n. 8/2013, che recita:
“Fermo restando l’obbligo di presentazione delle certificazioni per l’esercizio dei diritti conseguenti alle situazioni di disabilità e di DSA, è compito doveroso dei Consigli di classe o dei teams dei docenti nelle scuole primarie indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni.”
“Strumento privilegiato è il percorso individualizzato e personalizzato, redatto in un Piano Didattico Personalizzato (PDP), che ha lo scopo di definire, monitorare e documentare – secondo un’elaborazione collegiale, corresponsabile e partecipata – le strategie di intervento più idonee e i criteri di valutazione degli apprendimenti.”
“In questa nuova e più ampia ottica, il Piano Didattico Personalizzato non può più essere inteso come mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA; esso è bensì lo strumento in cui si potranno, ad esempio, includere progettazioni didattico-educative calibrate sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita (di cui moltissimi alunni con BES, privi di qualsivoglia certificazione diagnostica, abbisognano), strumenti programmatici utili in maggior misura rispetto a compensazioni o dispense, a carattere squisitamente didattico strumentale.”
“È necessario che l’attivazione di un percorso individualizzato e personalizzato per un alunno con Bisogni Educativi Speciali sia deliberata in Consiglio di classe – ovvero, nelle scuole primarie, da tutti i componenti del team docenti – dando luogo al PDP, firmato dal Dirigente scolastico (o da un docente da questi specificamente delegato), dai docenti e dalla famiglia. Nel caso in cui sia necessario trattare dati sensibili per finalità istituzionali, si avrà cura di includere nel PDP apposita autorizzazione da parte della famiglia.”
A rinforzo di quanto sopra, la nota del MIUR n. 2563/2013 recita:
“In ultima analisi, al di là delle distinzioni sopra esposte, nel caso di difficoltà non meglio specificate, soltanto qualora nell’ambito del Consiglio di classe (nelle scuole secondarie) o del team docenti (nelle scuole primarie) si concordi di valutare l’efficacia di strumenti specifici questo potrà comportare l’adozione e quindi la compilazione di un Piano Didattico Personalizzato, con eventuali strumenti compensativi e/o misure dispensative. Non è compito della scuola certificare gli alunni con bisogni educativi speciali, ma individuare quelli per i quali è opportuna e necessaria l’adozione di particolari strategie didattiche”.
In altri termini il piano didattico personalizzato non solo rappresenta il presupposto giuridico per l’adozione di misure compensative e dispensativa (oltre ad eventuali misure aggiuntive ritenute funzionali), in un’ottica di programmazione didattica collegiale unificante ed omogeneizzante gli interventi didattici dei singoli docenti, ma costituisce anche di riflesso il fondamento del diritto dello studente e della famiglia di beneficiare di tali interventi, e di averne cognizione, oltre a giustificare giuridicamente un “diverso trattamento” rispetto agli altri compagni di classe, ed evitare “ricorsi massivi”; sempre in altri termini si tratta dello strumento giuridico che impone/consente ai singoli docenti di adottare “misure didattiche differenziate”, collegialmente concordate e condivise, strutturali e continuative nei confronti degli studenti con bisogni educativi speciali; ancora in altri termini, il singolo docente potrà/dovrà utilizzare strumenti compensativi e dispensativi solo all’interno di una strategia didattica collegialmente condivisa, rispettando le indicazioni contenute nel piano didattico personalizzato.
In merito è illuminante un commento dell’avv. Salvatore Nocera, il più importante esperto italiano di diritto dell’inclusione scolastica:
“ Infatti, gli alunni con ulteriori BES, in forza della Direttiva ministeriale del 27 Dicembre 2012, godono di “strumenti dispensativi e misure compensative”. Come si fa ad individuare un alunno al quale concedere tali agevolazioni senza qualcosa di oggettivo, come, nel caso dei BES, della delibera del Consiglio di classe ed il conseguente PDP in cui tali misure sono indicate? Ci si rende conto a quanti ricorsi si andrebbe incontro da parte di alunni bocciati cui non sono state concesse le agevolazioni che, a discrezione dei singoli docenti, verrebbero accordate ad altri promossi?”
Mentre la definizione del PEI richiede il coinvolgimento attivo anche di soggetti esterni all’Istituto scolastico e al consiglio di classe (o interclasse nella scuola primaria; di seguito per brevità si farà riferimento solo al consiglio di classe), la definizione del PDP è di esclusiva competenza del Consiglio di Classe.
In base al D.I. n. 182/2020 il PEI è redatto dal GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione), che in base all’art. 3, comma 2, è composto da:
“Partecipano al GLO i genitori dell’alunno con disabilità o chi ne esercita la responsabilità genitoriale, le figure professionali specifiche, interne ed esterne all’istituzione scolastica, che interagiscono con la classe e con l’alunno con disabilità nonché, ai fini del necessario supporto, l’unità di valutazione multidisciplinare”.
Ma già la stessa legge n. 104/1992, all’art. 12, comma 5, recitava:
“Art. 12 5. All’individuazione dell’alunno come persona handicappata ed all’acquisizione della documentazione risultante dalla diagnosi funzionale, fa seguito un profilo dinamico-funzionale ai fini della formulazione di un piano educativo individualizzato, alla cui definizione provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori della persona handicappata, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola, con la partecipazione dell’insegnante operatore psico-pedagogico individuato secondo criteri stabiliti dal Ministro della pubblica istruzione.”
Al contrario la legge n. 170/2010, il DM n. 5669/2011, le Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento del 12/07/2011, il DM 27 dicembre 2012, la CM n. 8/2013, la nota del MIUR n. 2563/2013, e la nota n. 562/2019, mai prevedono una collaborazione attiva di altri soggetti alla definizione del piano didattico personalizzato, che rimane di esclusiva competenza del Consiglio di Classe.
A titolo di esempio, come già visto, la CM n. 8/2013 recita:
“È necessario che l’attivazione di un percorso individualizzato e personalizzato per un alunno con Bisogni Educativi Speciali sia deliberata in Consiglio di classe..”
Si sottolinea come la proposizione “in” in sostituzione della proposizione “da” rafforzi il fatto che si tratta di scelte che devono avvenire in sede collegiale.
La nota ministeriale n. 2563/2013 esplicita ulteriormente il ruolo del Consiglio di Classe:
“In ultima analisi, al di là delle distinzioni sopra esposte, nel caso di difficoltà non meglio specificate, soltanto qualora nell’ambito del Consiglio di classe (nelle scuole secondarie) o del team docenti (nelle scuole primarie) si concordi di valutare l’efficacia di strumenti specifici questo potrà comportare l’adozione e quindi la compilazione di un Piano Didattico Personalizzato, con eventuali strumenti compensativi e/o misure dispensative. Non è compito della scuola certificare gli alunni con bisogni educativi speciali, ma individuare quelli per i quali è opportuna e necessaria l’adozione di particolari strategie didattiche. Si ribadisce che, anche in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o di DSA, il Consiglio di classe è autonomo nel decidere se formulare o non formulare un Piano Didattico Personalizzato, avendo cura di verbalizzare le motivazioni della decisione. E’ quindi peculiare facoltà dei Consigli di classe o dei team docenti individuare – eventualmente anche sulla base di criteri generali stabiliti dal Collegio dei docenti – casi specifici per i quali sia utile attivare percorsi di studio individualizzati e personalizzati, formalizzati nel Piano Didattico Personalizzato, la cui validità rimane comunque circoscritta all’anno scolastico di riferimento.”
D’altra parte le Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento fanno esclusivo riferimento al termine raccordo, e al diritto della famiglia di comunicare osservazioni:
“Nella predisposizione della documentazione in questione è fondamentale il raccordo con la famiglia, che può comunicare alla scuola eventuali osservazioni su esperienze sviluppate dallo studente anche autonomamente o attraverso percorsi extrascolastici”.
In altri termini, in riferimento al piano didattico personalizzato, lo studente è titolare di un diritto soggettivo all’inclusione scolastica e alla personalizzazione degli interventi didattici (artt. 3 e 34 della Costituzione, legge n. 104/1992, n. 53/2003, legge n. 170/2010, legge n. 105/2015, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo), mentre il Consiglio di Classe ha il dovere di predisporre un piano didattico personalizzato per gli studenti con disturbi specifici di apprendimento, e il dovere di valutare se adottare o meno un piano didattico personalizzato nel caso di studenti con bisogni educativi speciali, perché ostacolati nell’ottenere il successo formativo a causa di forme di disagio di varia natura, anche a carattere temporaneo, come ad esempio si ricorda recita il DM 27 dicembre 2012:
“In questo senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.”
Parallelamente la famiglia (o i soggetti facenti funzione in base alla vigente normativa), e lo studente maggiorenne sono titolari di un interesse legittimo in relazione ai contenuti del piano didattico personalizzato, e titolari dei diritti soggettivi previsti dalla legge n. 241/1990 in tema di procedimento amministrativo.
Più in generale il ruolo della famiglia si esplica principalmente in:
- consegna della certificazione del disturbo specifico di apprendimento (art. 2, comma 3, del DM n. 5669/2011);
- segnalazione di situazioni di disagio (nota MIUR n. 2563/2013);
- condivisione di “le linee elaborate nella documentazione dei percorsi didattici individualizzati e personalizzati ed è chiamata a formalizzare con la scuola un patto educativo/formativo che preveda l’autorizzazione a tutti i docenti del Consiglio di Classe – nel rispetto della privacy e della riservatezza del caso – ad applicare ogni strumento compensativo e le strategie dispensative ritenute idonee, previste dalla normativa vigente, tenuto conto delle risorse disponibili” (Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento; par. 6.5).
Sul terzo punto avvengono i più frequenti errori; non deve essere firmato il piano didattico personalizzato, documento interno e di esclusiva competenza del Consiglio di Classe, ma bensì deve essere prodotto e firmato un patto educativo/formativo, fondato sul piano didattico personalizzato approvato dal Consiglio di Classe. Vero è che come prima riportato, la CM n. 8/2013 prevede la firma del PDP, ma ad avviso dello scrivente sussistono varie ragioni per valutare più corretta la prassi della firma del patto educativo/formativo, tra cui in primis quella per cui il piano didattico personalizzato può contenere valutazioni sulle cause di origine dei bisogni educativi evidenziati, coinvolgenti le stesse famiglie, a cui non può essere richiesta, per altrettanti vari motivi, la sottoscrizione. In ogni caso non può trattarsi di una firma per accettazione, in quanto come di seguito sarà analizzato, il parere positivo della famiglia non è vincolante per l’adozione di un piano didattico personalizzato. Pertanto la firma ha esclusivamente il valore di presa visione, ossia di avvenuta comunicazione, fermo restando il diritto da parte della famiglia di non firmare il documento, dovendosi in tal caso, far sottoscrivere alla famiglia un documento in cui è attestato tale rifiuto, al fine di dimostrare il tentativo di comunicazione dell’adozione del piano didattico personalizzato. D’altra parte, a monte, le linee guida sono un allegato del DM n. 5669/2011, norma gerarchicamente superiore alla cm n. 8/2013.
A questo punto due domande.
- Il Consiglio di Classe è un soggetto passivo nel ricevere le segnalazioni di casi attinenti bisogni educativi speciali?
- Cosa accade in caso di disaccordo tra Istituto scolastico e famiglia dello studente in relazione al piano didattico personalizzato?
In merito alla prima domanda, la risposta non può che essere negativa.
L’art. 3, commi 2 e 3 della legge n. 170/2010 recita:
“2. Per gli studenti che, nonostante adeguate attività di recupero didattico mirato, presentano persistenti difficoltà, la scuola trasmette apposita comunicazione alla famiglia.
- E’ compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia, attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi sospetti di DSA degli studenti, sulla base dei protocolli regionali di cui all’articolo 7, comma 1. L’esito di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA.”
L’art. 2, comma 1, del DM n. 5669/2011 recita:
“1. Ai fini di cui al precedente articolo, le istituzioni scolastiche provvedono a segnalare alle famiglie le eventuali evidenze, riscontrate nelle prestazioni quotidiane in classe e persistenti nonostante l’applicazione di adeguate attività di recupero didattico mirato, di un possibile disturbo specifico di apprendimento, al fine di avviare il percorso per la diagnosi ai sensi dell’art. 3 della Legge 170/2010.”
La nota del MIUR n. 2563/2013 recita:
“Non è compito della scuola certificare gli alunni con bisogni educativi speciali, ma individuare quelli per i quali è opportuna e necessaria l’adozione di particolari strategie didattiche.”
E’ pertanto evidente che l’Istituto scolastico deve adottare ogni strategia utile ad intercettare i bisogni educativi speciali presenti tra l’utenza, ed agire in merito.
Invece nel caso di disaccordo tra l’Istituto scolastico e la famiglia in merito all’adozione e/o ai contenuti del piano didattico personalizzato, si evidenzia che l’Istituto scolastico deve agire in base al principio giuridico dell’interesse superiore del minore (art. 3 della Convenzione dell’ONU sui diritti dei fanciulli; art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), adottando, anche nel caso di volontà contraria della famiglia, il piano didattico personalizzato se ritenuto congruo al successo formativo e al ben-essere dello studente.
Parallelamente, nell’eventuale caso di contrasto con le decisioni del Consiglio di Classe, la famiglia potrà adire la giustizia amministrativa per chiedere il riconoscimento della lesione di interessi legittimi e/o diritti soggettivi (ricordando che la giustizia amministrativa in base alla sentenza n. 140/2007 della Corte Costituzionale può tutelare anche diritti soggettivi).
In merito di sicuro interesse è il chiarimento del MIUR riportato dall’Associazione Italiana Dislessia (https://www.aiditalia.org/it/news-ed-eventi/news/dallacqua-risponde-ad-associazioni):
“È possibile la redazione di un pdp per ragazzi con bisogni educativi speciali? È a discrezione del consiglio di classe o la famiglia ne può fare richiesta?
Il consiglio di classe è sovrano nel decidere se fare o meno un PDP per alunni con bisogni educativi speciali che non ricadano sotto l’ombrello della legge 104/1992 o della legge 170/2010. Se poi la famiglia non lo vuole, deve motivare per iscritto il diniego alla firma. Viceversa, anche la famiglia può chiedere al consiglio di classe che sia adottato un PDP e nel caso il consiglio di classe fosse contrario, deve verbalizzarne il motivo.
Se invece è l’Istituto scolastico che non predispone il piano didattico personalizzato richiesto dalla famiglia o non delibera in merito alla segnalazione di un bisogno educativo speciale, nel caso di certificazione di disturbi specifici di apprendimento, la famiglia potrà persino procedere a denuncia per il reato di abuso di atti di ufficio (infatti in tal caso non vi sono margini di discrezionalità nell’adottare un PDP, sussiste la violazione di una norma di legge, e il danno ingiusto a carico dello studente), e/o per il reato di omissione di atti di ufficio ai sensi del comma 2 dell’art. 328 c.p., oltre alla possibilità di ricorso alla giurisdizione amministrativa o (in alcuni casi) civile.
Se al contrario la famiglia richiede l’adozione di un piano didattico personalizzato per motivi connessi a situazioni di disagio (o comunque semplicemente segnala un bisogno educativo speciale), in merito è molto chiara la nota del MIUR n. 2563/2013:
“Si ribadisce che, anche in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o di DSA, il Consiglio di classe è autonomo nel decidere se formulare o non formulare un Piano Didattico Personalizzato, avendo cura di verbalizzare le motivazioni della decisione.”
Si tratta di una valutazione, che per quanto prima esposto deve essere fatta anche nel caso di semplice segnalazione della famiglia, o di avvenuta conoscenza di una situazione che evidenzia il fumus di bisogno educativo speciale, in qualsiasi modo avvenuta.
Pertanto in casi simili il Consiglio di Classe ha il dovere di valutare la situazione rappresentata, e di motivare l’eventuale diniego all’adozione di un piano didattico personalizzato, ma non l’obbligo di adottarlo.
Ne consegue che qualora il Consiglio di Classe non analizzi il caso e/o non motivi il diniego all’adozione del piano didattico personalizzato, può risultare esposto al rischio di denuncia per il reato di cui al comma 2 dell’art. 328 c.p., oltre alle responsabilità a livello amministrativo, civile e disciplinare.
In entrambe le situazioni è particolarmente esposta la figura del dirigente scolastico che in base al comma 3 dell’art. 25 del dlg n. 165/2001:
“3. Nell’esercizio delle competenze di cui al comma 2, il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per l’esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l’esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l’attuazione del diritto all’apprendimento da parte degli alunni.”
Il punto 6.2 delle Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento (ma a seguito del DM 27 dicembre 2012 estensibile a tutti i casi di bisogno educativo speciale) specifica la funzione in merito del Dirigente Scolastico, tra cui in particolare:
“In particolare, il Dirigente: • garantisce il raccordo di tutti i soggetti che operano nella scuola con le realtà territoriali; • stimola e promuove ogni utile iniziativa finalizzata a rendere operative le indicazioni condivise con Organi collegiali e famiglie, e precisamente: – attiva interventi preventivi; – trasmette alla famiglia apposita comunicazione; – riceve la diagnosi consegnata dalla famiglia, la acquisisce al protocollo e la condivide con il gruppo docente; • promuove attività di formazione/aggiornamento per il conseguimento di competenze specifiche diffuse; • promuove e valorizza progetti mirati, individuando e rimuovendo ostacoli, nonché assicurando il coordinamento delle azioni (tempi, modalità, finanziamenti); • definisce, su proposta del Collegio dei Docenti, le idonee modalità di documentazione dei percorsi didattici individualizzati e personalizzati di alunni e studenti con DSA e ne coordina l’elaborazione e le modalità di revisione, anche – se necessario – facendo riferimento ai già richiamati modelli esemplificativi pubblicati sul sito del MIUR (http://www.istruzione.it/web/istruzione/dsa); • gestisce le risorse umane e strumentali; • promuove l’intensificazione dei rapporti tra i docenti e le famiglie di alunni e studenti con DSA, favorendone le condizioni e prevedendo idonee modalità di riconoscimento dell’impegno dei docenti, come specificato al successivo paragrafo 6.5; • attiva il monitoraggio relativo a tutte le azioni messe in atto, al fine di favorire la riproduzione di buone pratiche e procedure od apportare eventuali modifiche.”
A completamento di questa breve panoramica sul piano didattico personalizzato, ancora alcune importanti notazioni.
Il PDP per studenti con disturbi specifici di apprendimento deve essere elaborato entro tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico (Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento; punto 3.1).
Invece il PDP per studenti con bisogni educativi speciali connessi al disagio può essere elaborato in qualsiasi fase dell’anno scolastico (anche in fase estiva nell’ottica del superamento di eventuali debiti formativi), non presentando la normativa alcuna preclusione in merito, in coerenza con il fatto che non è possibile prevedere e porre anticipatamente limiti ad eventuali situazioni di disagio.
In merito, come già visto, il DM del 27 dicembre 2012 recita:
“In questo senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.”
Il PDP è soggetto a revisione periodica da parte del Consiglio di Classe.
Il PDP ha validità al massimo per la durata dell’anno scolastico (nota del MIUR n. 2563/2013); pertanto ogni anno il PDP deve essere riscritto ed approvato.
In ogni caso il Consiglio di Classe è tenuto a valutare tutti gli elementi nuovi di cui venga a conoscenza per valutare se, considerata la funzione del documento, modificare o meno il PDP, anche nel corso dell’anno scolastico di riferimento.
Si ricorda che la diagnosi di disturbo specifico di apprendimento non è soggetta a scadenza, ma può essere oggetto di aggiornamento.
Solo dopo l’elaborazione ed approvazione del piano didattico personalizzato, lo studente acquista il diritto al rispetto da parte dei docenti di quanto previsto nel documento, e parallelamente i docenti del Consiglio di Classe risultano vincolati a quanto previsto nel documento.
Come, già visto, la C.M. n. 8/2013 correttamente evidenzia che il piano didattico personalizzato è qualcosa di più dell’adozione di misure dispensative e compensative:
“In questa nuova e più ampia ottica, il Piano Didattico Personalizzato non può più essere inteso come mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA; esso è bensì lo strumento in cui si potranno, ad esempio, includere progettazioni didattico-educative calibrate sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita (di cui moltissimi alunni con BES, privi di qualsivoglia certificazione diagnostica, abbisognano), strumenti programmatici utili in maggior misura rispetto a compensazioni o dispense, a carattere squisitamente didattico strumentale.”
Ciò non toglie che le misure compensative e dispensative sono la base di un piano didattico personalizzato, in un rapporto circolare; le misure compensative e dispensative rappresentano l’apporto di base all’ “identità” del piano didattico personalizzato, mentre quest’ultimo rappresenta il presupposto normativo e giuridico per l’adozione di tali misure; in altri termini due facce della stessa medaglia.
“Dimenticare” un solo alunno o studente con bisogni educativi speciali è un danno irreparabile; pertanto occorre la “vigilanza” di tutti gli stakeholder che costituiscono la Comunità Educante, a partire dal dirigente scolastico che deve essere in grado di dare un ben preciso orientamento didattico-pedagogico al Collegio dei Docenti e ai Consigli di Classe a tutela della cura degli alunni/studenti più bisognosi.
Per concludere l’indicazione di un semplice parametro per valutare l’inclusività e l’attenzione ai bisogni educativi speciali dei singoli Istituti scolastici.
Mediamente gli studenti con bisogni educativi speciali rappresentano circa il 10-11% della popolazione scolastica; pertanto si tratta di circa 850.000 alunni/studenti (ossia un numero simile a quello degli abitanti del Comune di Torino, quarta Città più popolata di Italia).
Se in un Istituto scolastico la percentuale di PEI e di PDP redatti rispetto alla popolazione studentesca risulta sensibilmente inferiore al predetto valore percentuale, ciò impone di valutare senza ritardo il perché della differenza, e i sistemi interni di rilevazione dei bisogni educativi speciali.
Non a caso la CM n. 8/2013 impone anche quanto segue:
“…al termine dell’anno scolastico, il Collegio procede alla verifica dei risultati raggiunti. 2. Nel P.O.F. della scuola occorre che trovino esplicitazione: un concreto impegno programmatico per l’inclusione, basato su una attenta lettura del grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento, da perseguire nel senso della trasversalità delle prassi di inclusione negli ambiti dell’insegnamento curricolare, della gestione delle classi, dell’organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle relazioni tra docenti, alunni e famiglie.”
Ogni studente non promosso è un danno umano, sociale, economico di inestimabile valore (con effetti negativi che possono propagarsi negli anni), con un costo diretto annuale per la collettività (ossia i costi sostenuti per la sua frequenza scolastica) di circa € 7.000,00.
Ne consegue che prevenire l’insuccesso scolastico è un investimento non solo umano e sociale, ma anche economico; pertanto il Mondo della Scuola non deve e non può permettersi nei confronti dei bisogni educativi speciali distrazioni e forme di pigrizia.
Di seguito una tabella riepilogativa dei principali contenuti sopra riportati.
Quanto previsto dalla legge n. 170/2010, e dal DM n. 5669/2011 con le allegate linee guida è stato esteso a tutti i bisogni educativi speciali? |
Si, con DM 27 dicembre 2012. |
Che cosa è il piano didattico personalizzato? |
E’ un provvedimento amministrativo che garantisce ed esplicita gli interventi didattici personalizzati deliberati a favore di studenti con bisogni educativi speciali, ed in primis le misure dispensative e compensative (art. 5 del DM n. 5669/2011) |
Chi redige il piano didattico personalizzato? |
Il Consiglio di Classe (interclasse nel caso della scuola primaria), che ha competenza esclusiva in merito. Le famiglie possono fornire indicazioni utili in merito al Consiglio di Classe redigente (DM 27 dicembre 2012, punto 1.5; CM n. 8/2013; nota MIUR n. 2563/2013) |
I docenti del Consiglio di Classe/interclasse sono tenuti al rispetto di quanto previsto dal PDP? |
L’attività didattica del singolo docente deve svilupparsi nell’ambito delle linee programmatiche definite dal Collegio dei Docenti e dal Consiglio di Classe/interclasse di appartenenza; ciò è ancora più vincolante nel caso di deliberazione di un PDP. Si ricorda che l’art. 5 del DM n. 5669/2011 usa il termine “garantisce”. In altri termini il singolo docente potrà utilizzare strumenti compensativi e dispensativi solo all’interno di una strategia didattica collegialmente condivisa, rispettando le indicazioni contenute nel piano didattico personalizzato.
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Quale è la natura giuridica del piano didattico personalizzato? |
E’ un provvedimento amministrativo, ed è il necessario atto giuridico presupposto per l’adozione delle misure compensative e dispensative, e degli altri interventi didattici deliberati. |
L’adozione del PDP è obbligatoria? |
E’ obbligatoria solo nel caso di alunni/studenti con la certificazione di disturbo specifico di apprendimento (DM n. 5669/2011; CM n. 8/2013; nota MIUR n. 2563/2013). |
E’ obbligatorio che il Consiglio di Classe valuti situazioni di disagio, ostative al successo formativo per l’eventuale adozione di un piano didattico personalizzato? |
Si, è obbligatorio. Nel caso in cui valuti la non necessità di adottare un piano didattico personalizzato, ne deve essere data congrua motivazione (CM n. 8/2013; nota MIUR n. 2563/2013) |
Nel caso di disturbi specifici di apprendimento entro quanto tempo il PDP deve essere redatto? |
Entro i primi tre mesi di inizio dell’anno scolastico (Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento; punto 3.1).
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Nel caso di adozione di piano didattico personalizzato per motivi diversi dai disturbi specifici di apprendimento, esistono limiti temporali? |
Il PDP può essere redatto in qualsiasi fase dell’anno scolastico, anche per brevi periodi e/o in relazione al percorso estivo di recupero dei debiti formativi, e anche per temporanee esigenze psico-pedagogiche-didattiche (DM 27 dicembre 2012). |
Il Piano didattico personalizzato deve essere firmato dalle famiglie? |
No. Deve essere firmato dalle famiglie il patto educativo/formativo, fondato sul PDP ((Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento; par. 6.5). |
L’Istituto scolastico deve agire in riferimento ai bisogni educativi speciali solo su istanza delle famiglie. |
No. Nel caso di disturbi specifici di apprendimento deve segnalare le difficoltà degli alunni/studenti alle famiglie. Nel caso di altri bisogni educativi speciali deve agire autonomamente, valutando se adottare o meno un piano didattico personalizzato. Ne deriva l’importanza di un sistema di rilevazione dei bisogni educativi speciali (legge n. 170/2010; DM n. 5669/2011; nota del MIUR n. 2563/2013) |
Cosa accade nel caso di rifiuto delle famiglia all’adozione di un piano didattico personalizzato? |
Il diniego della famiglia deve espressamente risultare da atto scritto, sottoscritto dai genitori degli alunni/studenti. In ogni caso il Consiglio di Classe deve agire nell’ottica dell’interesse superiore del minore, tenendo conta del fatto che la volontà della famiglia non ha carattere vincolante (chiarimenti del MIUR ad Associazioni; https://www.aiditalia.org/it/news-ed-eventi/news/dallacqua-risponde-ad-associazioni |
Il parere contrario della famiglia è vincolante per la non adozione di un piano didattico personalizzato? |
No, perché l’Istituto scolastico deve agire in base al principio dell’interesse superiore del minore (art. 3 della Convenzione dell’ONU sui diritti dei fanciulli; art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), |
Cosa accade nel caso di immotivati inerzia o rifiuto di adozione di un piano didattico personalizzato da parte del Consiglio di Classe? |
Il Consiglio di Classe si espone al rischio di responsabilità, civile, amministrativa, e penale (in particolare con riferimento al reato di abuso di atti di ufficio, e/o di omissione di atti di ufficio). |
Il PDP ha scadenza? |
Il PDP ha volare solo per l’anno scolastico di riferimento (nota del MIUR n. 2563/2013); qualora il Consiglio di Classe venga a conoscenza di nuovi elementi è tenuto a valutare se modificare o meno il piano didattico personalizzato. |
La certificazione di disturbo specifico di apprendimento ha scadenza? |
No, ma può essere oggetto di aggiornamenti, che impongono al Consiglio di Classe la revisione del PDP. |
Come possono le famiglie tutelare i propri diritti in merito alle questioni attinenti l’elaborazione del piano didattico personalizzato? |
La principale forma di tutela è il ricorso all’autorità giudiziaria amministrativa. E’ comunque possibile ricorrere anche al giudice ordinario (in particolare per il risarcimento del danno), o presentare denuncia alla Procura della Repubblica qualora sussistano i presupposti dei reati di cui agli artt. 323 e 328 del c.p.. |
Il numero di PEI e PDP prodotti da un singolo Istituto scolastico può essere un buon indicatore di inclusività ed attenzione ai bisogni educativi speciali? |
Sì, se il numero di PEI e PDP redatti rispetto alla popolazione studentesca dell’Istituto scolastico, tenuto conto del contesto territoriale, e del grado e/o della tipologia di studi, è congruo con la percentuale nazionale stimata di studenti con bisogni educativi speciali, ad oggi valutata pari a circa il 10-11% della popolazione studentesca del Paese. Naturalmente il PDP deve essere il risultato di un approfondito lavoro di analisi. |
Gianni Paciariello, Presidente dell’Associazione Papa Giovanni Paolo II, che opera a tutela dei diritti degli studenti, e dirigente scolastico in quiescenza.