Di particolare importanza la sentenza del TAR Lazio Roma sez. III bis n. 4646 del 28 aprile 2020 di accoglimento pubblicata oggi, in merito al ricorso patrocinato dall’Avv. Maurizio Danza del Foro di Roma, a favore degli abilitati in Romania.
In particolare il ricorso era stato presentato per l’annullamento previa sospensione dell’efficacia, in tutto o in parte ai sensi dell’art.34 co.1 lett.a del c.p.a.,
1) del decreto collettivo n. 26731 del 7 ottobre 2019 dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia ( all.1) di esclusione dei ricorrenti dalle graduatorie per le classi di concorso rispettivamente suindicate, formulate a seguito della partecipazione alle procedure concorsuali riservate di cui al bando di concorso riservato per il personale docente indetto con D.D.G. n. 85 del 01/02/2018, per presunta mancanza del titolo di accesso ;
2) della nota di rigetto del MIUR prot. n. 5636 del 02/04/2019 ( all.2), atto presupposto, espressamente richiamato nel decreto di esclusione collettivo n.26731 del 7 ottobre 2019 della USR Sicilia, nella parte in cui illegittimamente dispone che i titoli denominati secondo cui i titoli denominati “Programului de studi psihopedagogice, Nivel I e Nivel II”, conseguiti dai cittadini italiani in Romania, secondo cui, non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE e successive modifiche; e pertanto le istanze di riconoscimento presentate sulla base dei titoli sono da considerarsi rigettate” ( all.2 ), in violazione di principi comunitari e giurisprudenziali espressi dalla Corte di Giustizia Europea ;
3) di ogni altro atto presupposto, connesso, e consequenziale al decreto collettivo di esclusione.
L’Avv. Maurizio Danza aveva infatti chiesto al Collegio il diritto al reinserimento dei ricorrenti nelle rispettive graduatorie regionali di merito di cui all’art.11 del D.D.G. n.85/2018 ( all.3) , per le classi di concorso indicate nel decreto di esclusione della USR Sicilia n.26731 del 7 ottobre 2019 previo annullamento dello stesso ;
Il difensore aveva richiesto altresì la ammissione sui posti del percorso annuale c.d. FIT, dell’Ambito Regionale di cui agli artt. 11 co. 3 e 12 del D.D.G. n.85/2018, anche previo accertamento in via incidentale del diritto alla abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania ai sensi del D.Lgs.n.206/2007 attuativo delle Direttive Europee n.36/2005 e n.55/2013.
Il Collegio della terza bis ha motivato così accogliendo il ricorso e annullando gli atti impugnati:
Con il ricorso in oggetto parte ricorrente chiedeva l’annullamento degli atti con cui i ricorrenti venivano esclusi dal concorso indetto don d.d.g. n. 85 del 2018 e i provvedimenti collettivi e individuali di diniego del riconoscimento del titolo conseguito in Romania.
Il Consiglio di Stato con varie sentenze ha ritenuto di riconoscere come meritevole di tutela la posizione del ricorrente (si veda tra le altre sentenza n. 2495 del 2020), con argomentazioni che il collegio ritiene di condividere.
Considerato in particolare che, non appare contestato che la parte sia in possesso, per un verso, del titolo di studio della laurea conseguito in Italia e, per un altro verso, dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania;
“- il richiesto riconoscimento dell’operatività di quest’ultimo in Italia viene negato dal Ministero sulla scorta della valutazione delle autorità rumene, le quali escludono il riconoscimento delle qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania;
– la Sezione si è già espressa sulle medesime questioni in senso favorevole a parte appellante (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 1198/2020) e non sussistono ragioni per discostarsi da tale precedente di cui di seguito si riportano i passaggi motivazionali essenziali;
– invero, l’argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018); pertanto, una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia;
– l’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana; ciò, in particolare, nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana. Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.
– in tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III , 06/12/2018 , n. 675);
– per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).” Pertanto, a fronte della sussistenza in capo a parte appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, non sussistono i presupposti per il contestato diniego. A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, il Ministero è chiamato unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno”.
A ben vedere il Collegio ha accolto le richieste dell’Avv. Maurizio Danza annullando il decreto della USR Sicilia n 26731/2019 ed emanando una sentenza in forma semplificata, previa rinuncia alla cautelare da parte della difesa, attesi i numerosi precedenti del Consiglio di Stato.