Reiterazione contratti a tempo determinato – illegittimità del termine – conseguente risarcimento del danno pari all’adeguamento del trattamento stipendiale ed alla corresponsione delle differenze retributive per il passato.
La prolungata reiterazione dei contratti a termine delle ricorrenti, sempre per la stessa durata e senza soluzione di continuità, nonché la totale assenza di qualunque giustificazione dei medesimi, portano a ritenere che vi sia stato un abuso di tale forma contrattuale al fine di coprire esigenze permanenti della pubblica amministrazione che sarebbero dovute essere soddisfatte mediante l’assunzione a tempo indeterminato delle lavoratrici.
Per quanto detto finora i termini apposti ai contratti di lavoro intercorsi tra le ricorrenti e il Ministero convenuto devono essere dichiarati illegittimi.
Quanto alle conseguenze dell’illegittimità del termine finale, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha già avuto modo di esprimersi nel senso di non ritenere la conversione del contratto a termine l’unico rimedio conforme al diritto comunitario nel caso in cui si verifichi un abuso dei contratti a tempo determinato; è infatti stato ritenuto legittimo anche il risarcimento del danno per equivalente, qualora questo rappresenti una misura sufficientemente efficace e dissuasiva per far cessare il comportamento abusivo.
Al riguardo le norme vigenti nel nostro ordinamento (comma 14 bis dell’articolo 4, legge 124/99, e articolo 36 del decreto legislativo 165/01) precludono la possibilità per il giudice di convertire il contratto di lavoro a tempo determinato in uno a tempo indeterminato.
Per la valutazione e la liquidazione del danno non si ritiene possibile utilizzare i criteri previsti dall’articolo 18 legge 300/70 o dall’articolo 32, comma 5, legge 183/10 (che riguarda i casi di “conversione” del contratto a tempo determinato) per liquidare il danno riportato dalle ricorrenti. Si ritiene infatti che il risarcimento pari a 15 mensilità di stipendio, come previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori sia stato previsto da tale legge come corrispettivo rispetto alla perdita del posto di lavoro (e infatti conseguenze dell’opzione che il lavoratore può fare nel senso di non proseguire il rapporto); non è quindi possibile dare tale risarcimento a chi non ha perso il posto di lavoro e, del resto, non è per nulla detto che ciò accada: anzi, la circostanza che le ricorrenti da numerosi anni continuino a svolgere la propria mansione, sebbene mediante contratti a termine, induce a ritenere il contrario.
L’unico danno che è immediato ed attuale è la disparità di trattamento rispetto ad una medesima lavoratrice che sia stata assunta sin dall’inizio con contratto a tempo indeterminato: una volta che i termini apposti ai vari contratti sono stati dichiarati illegittimi, le lavoratrici dovranno essere risarcite proprio sotto tale profilo; dovrà quindi essere riconosciuto il medesimo trattamento che sarebbe spettato loro se fossero state assunte sin dall’inizio a tempo indeterminato.
Questo comporta che la situazione economica e giuridica delle ricorrenti deve essere equiparata a quella di una lavoratrice assunta a tempo indeterminato a partire dal 25 settembre 2000 (per effetto dell’eccezione di prescrizione sopra richiamata), con l’adeguamento del loro trattamento stipendiale per il futuro e la corresponsione delle relative differenze retributive per il passato.
(Provvedimento inviato dall’Avv. Giovanni Rinaldi – Legale Piemonte ANIEF)