Un breve commento e qualche considerazione in merito alla sentenza del Tribunale di Napoli Nord con la quale il MIUR è stato condannato al risarcimento nei confronti di un precario ATA.
Ci piace riprendere il discorso, che ci ha spinto a occuparci del settore del diritto scolastico, riesaminando la parte motivazionale della sentenza, emessa dal Tribunale di Napoli Nord, n. 4244/2018.
Innanzitutto andiamo ai fatti, come concretamente svolti.
La ricorrente, infatti, da oltre 17 anni (e fino all’intervenuta stabilizzazione part-time) ha sempre svolto le medesime mansioni presso lo stesso Istituto, ragion per cui il Tribunale di Napoli Nord, con la sentenza n. 4244/2018 ha riscontrato l’assenza di ragioni oggettive in grado di giustificare la conclusione di contratti a termine per un periodo di tempo così lungo (17 anni) e, dunque, ha riconosciuto la responsabilità del MIUR per il rinnovo illimitato di contratti a termine per far fronte a croniche e ordinarie esigenze di servizio.
Per questi motivi il Tribunale ha condannato il Miur a risarcire la ricorrente con una cifra pari a 22 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ed a corrisponderle le differenze retributive maturate in ragione dell’anzianità di servizio, oltre interessi (c.f.r www.dirittoscolastico.it).
Chi avrà modo di leggere la detta sentenza, noterà, nella parte motivazionale, alcuni punti, già alla base delle varie pronunce Mascolo e della CEDU, che hanno, di fatto, dato l’avvio alle riforme della Buona Scuola.
Vedrà, soprattutto, che, in sostanza, i problemi da analizzare, affrontare e risolvere ancora permangono sulla carta.
Andiamo tuttavia, come accennato, alla parte motivazionale della sentenza.
Alla pagina quattro, per cominciare, sono riportati percorsi argomentativo-motivazionali già noti agli addetti ai lavori.
In particolare, viene espressamente stabilito che “il rinnovo di contratti di lavoro o di rapporti di lavoro a tempo determinato, al fine di soddisfare esigenze che, di fatto, hanno carattere durevole, non è giustificato ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a). dell’accordo quadro (c.f.r.)”.
Vengono poi citate le sentenze della Corte Costituzionale n. 187 del 2016, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 commi 1 e 11 della L. 124/1999, nella parte in cui autorizzava il rinnovo di contratti a termine senza ragioni obiettive oltre a Cass. 22552 del 07.11.2016, la quale, com’è noto, nello stabilire l’illegittima reiterazione di contratti a termine ha anche sancito il diritto al risarcimento del danno nella misura compresa tra le 2,5 e le 12 mensilità, utilizzando i parametri della L. 604/1966.
Il percorso argomentativo si chiude, di fatto, con la citazione della sentenza di Cassazione del 2014 che stabilisce la sussistenza di un danno di tipo comunitario, suscettibile di essere risarcito, con tutti i pregiudizi recati, siano essi retributivi, previdenziali o anche esistenziali.
È dunque interessante notare, anche da queste importanti e significative sentenze di merito, come ancora ad oggi, nonostante gli interventi legislativi, di fatto ancora sussistano pregiudizi significativi che, nel caso del personale ATA, sono suscettibili di essere tutelati dinnanzi alle nostre curie, al fine ivi di trovare ristoro.
È del pari interessante considerare come il problema del precariato, tra i docenti e il personale ATA possa e debba ancora trovare un’esatta definizione, non solo per tutelare i bravi lavoratori della scuola, ma, per mettere in linea la nostra scuola con le norme e la Comunità Europea.
Ancora dunque un plauso ai valenti colleghi, di cui mi accingo a commentare la sentenza e, per il resto, piace rimarcare e si confida che sia sempre così come la giurisprudenza, anche in questo caso, sia un baluardo di difesa per i lavoratori della scuola.
Avv. Michele Vissani