Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato prende posizione sulla vexata quaestio dell’esclusività dell’assistenza al familiare disabile.
Com’è noto, ai sensi dell’art. 33 comma 5 della legge n. 104 del 1992, il genitore o il familiare lavoratore che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, e non può essere trasferito senza la propria volontà.
Tale diritto è però condizionato all’inesistenza di altri familiari o affini che siano in grado di occuparsi dell’assistenza al disabile.
Secondo una parte della giurisprudenza, tale condizione può sussistere anche in presenza di altri congiunti i quali, pur teoricamente in grado di prestare assistenza al portatore di handicap, non siano disponibili per impedimenti di natura oggettiva o soggettiva.
Tale orientamento non è condiviso dal Consiglio di Stato che ritiene necessaria un’interpretazione coerente con la ratio ed il ruolo assolto dall’istituto dell’assistenza ai soggetti svantaggiati nel nostro ordinamento.
E pertanto, “il requisito della esclusività assistenziale può ritenersi integrato solo se l’istante comprova l’inesistenza di altri parenti ed affini in grado di occuparsi dell’assistenza del disabile: e ciò non mediante semplici dichiarazioni di carattere formale, magari attestanti impegni generici, ma attraverso la produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psico-fisici connotati da una certa gravità, idonei a giustificare l’indisponibilità sulla base di criteri di ragionevolezza e tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare”.
Il Supremo organo della Giustizia Amministrativa mette in guardia pertanto sugli abusi cui potrebbe condurre un’applicazione lassista della normativa, ricordando che altrimenti “l’assistenza ai soggetti svantaggiati invece di costituire espressione dei valori costituzionali primari della solidarietà familiare e umana finirebbe per snaturarsi e configurarsi come strumento per atteggiamenti egoistici o opportunistici”.
(Avvocato Francesco Orecchioni)
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L. 104-1992 – requisito della esclusività dell’assistenza – elementi probatori oggettivi che dimostrino l’impossibilità dell’assistenza da parte degli altri congiunti – necessità.
Due quindi sono i requisiti richiesti per legittimare il dipendente a chiedere di essere assegnato alla sede più vicina al domicilio dell’assistito: il primo è il requisito della continuità dell’assistenza al soggetto portatore di handicap, il secondo è quello della sua esclusività.
Il requisito della esclusività assistenziale può ritenersi integrato solo se l’istante comprova l’inesistenza di altri parenti ed affini in grado di occuparsi dell’assistenza del disabile: e ciò non mediante semplici dichiarazioni di carattere formale, magari attestanti impegni generici, ma attraverso la produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psico-fisici connotati da una certa gravità, idonei a giustificare l’indisponibilità sulla base di criteri di ragionevolezza e tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare.
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N. 00825/2010 REG.DEC.
N. 05984/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 5984 del 2009, proposto dal
Ministero della Giustizia e dal Consiglio Superiore della Magistratura, nelle persone dei legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
contro
il dott. XXX, rappresentato e difeso dall’avv. [omissis], con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via [omissis];
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – SEZIONE I n. 5020/2009 resa tra le parti;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di XXX;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2010 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti l’avvocato [omissis] e l’avvocato dello Stato Antonio Grumetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il dottor XXX ha partecipato con successo al concorso per uditore giudiziario bandito con D.M. 28.2.2004.
Dopo l’approvazione della relativa graduatoria di merito l’interessato ha presentato documentazione con cui attestava di assistere con continuità la madre affetta da handicap grave ed ha quindi chiesto di godere, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992 e successive modifiche, di precedenza assoluta nell’assegnazione della prima sede di servizio in tirocinio.
Il Consiglio Superiore ha però disatteso l’istanza, collocando il magistrato al posto n. …. della graduatoria definitiva per il conferimento delle funzioni giurisdizionali ai vincitori del concorso.
A sostegno del diniego l’Organo di autogoverno ha in sostanza addotto la presenza di altro stretto congiunto in grado di assistere l’inferma.
Il magistrato ha quindi impugnato il provvedimento di diniego, insieme agli atti ad esso presupposti, avanti al T.A.R. Lazio con un ricorso al quale ha fatto seguito la proposizione di motivi aggiunti.
Con la sentenza in epigrafe indicata l’adito Tribunale, dopo aver disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i magistrati controinteressati, ha accolto il gravame, rilevando – in linea con quanto dedotto dal ricorrente – che l’esclusività assistenziale idonea fondare la concessione dei benefici di legge sussiste anche in presenza di altri familiari, ove questi si dichiarino impossibilitati ad accudire il portatore di handicap per ragioni obiettive o soggettive.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dall’Amministrazione soccombente, la quale ne ha chiesto l’integrale riforma previa sospensione dell’esecutività.
Si è costituito l’appellato il quale ha chiesto il rigetto dell’appello, previa integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i magistrati da lui evocati nel giudizio di prime cure.
Con ordinanza n. 4205 del 2009 la Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza ai sensi dell’art. 33 della legge n. 1034 del 1971.
Alla udienza del 12 gennaio 2010 l’appello è stato spedito in decisione.
DIRITTO
L’appello dell’Amministrazione è fondato e va pertanto accolto, con integrale riforma della sentenza gravata.
In via preliminare va scrutinata l’eccezione mediante la quale l’appellato domanda che all’Amministrazione sia imposto di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti magistrati già da lui evocati per pubblici proclami nel giudizio di primo grado.
Questa eccezione va disattesa.
L’appello proposto da uno solo dei soccombenti nel giudizio di primo grado (sia esso l’amministrazione o uno dei controinteressati) non deve infatti essere notificato alle altre parti che rivestono la medesima posizione processuale, le quali non sono parti necessarie nel giudizio di secondo grado.
Diversa è invece la situazione processuale registratasi in primo grado, poiché in quel caso i magistrati collocati in posizione migliore nella graduatoria erano controinteressati rispetto all’impugnativa proposta dal dott. XXX.
Tanto chiarito, può procedersi all’esame dell’unico motivo di impugnazione col quale l’Amministrazione deduce che i benefici previsti dalla normativa a tutela delle persone affette da handicap possono essere concessi solo se risulti provata l’insussistenza di altri familiari, diversi dal magistrato, che possano prestare assistenza all’infermo.
Questo mezzo è fondato.
Come è noto, secondo l’art. 33 comma 5 della legge n. 104 del 1992 il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.
Ai sensi dell’art. 20 della legge n. 53 del 2000 il beneficio in questione si applica a coloro che assistono in via esclusiva e continuativa un parente o affine entro il terzo grado portatore di handicap, anche se non convivente.
Due quindi sono i requisiti richiesti per legittimare il dipendente a chiedere di essere assegnato alla sede più vicina al domicilio dell’assistito: il primo è il requisito della continuità dell’assistenza al soggetto portatore di handicap, il secondo è quello della sua esclusività. Per quanto concerne l’esclusività, una parte della giurisprudenza interpreta tale requisito in senso oggettivo, cioè nel senso che solo la mancanza di altri soggetti, conviventi o comunque abitanti nel comune di residenza della persona bisognosa, tenuti, in virtù di legge o di provvedimento a prestarle la necessaria assistenza, legittima il dipendente alla richiesta di trasferimento o assegnazione. (ad es. IV Sez. n. 5795 del 2005).
Secondo il contrapposto indirizzo giurisprudenziale valorizzato nella sentenza impugnata, invece, il requisito in questione può di fatto sussistere anche in presenza di altri congiunti i quali, pur teoricamente in grado di prestare assistenza al portatore di handicap, non siano disponibili per impedimenti di natura oggettiva o soggettiva. (cfr. VI Sez. n. 4182 del 2007).
Secondo questo Collegio, che aderisce al primo dei richiamati orientamenti, il requisito della esclusività assistenziale può ritenersi integrato solo se l’istante comprova l’inesistenza di altri parenti ed affini in grado di occuparsi dell’assistenza del disabile: e ciò non mediante semplici dichiarazioni di carattere formale, magari attestanti impegni generici, ma attraverso la produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psico-fisici connotati da una certa gravità, idonei a giustificare l’indisponibilità sulla base di criteri di ragionevolezza e tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare.
Quindi la regola è nel senso che la esclusività non può sussistere in presenza di altri congiunti in grado di assistere l’infermo e tale regola può essere derogata solo se il dipendente produce elementi probatori atti veramente a dimostrare che i congiunti stessi sono nell’impossibilità di supportare il portatore di handicap.
Diversamente ragionando, l’assistenza ai soggetti svantaggiati invece di costituire espressione dei valori costituzionali primari della solidarietà familiare e umana finirebbe per snaturarsi e configurarsi come strumento per atteggiamenti egoistici o opportunistici.
Applicando queste coordinate interpretative al caso all’esame appare evidente che la motivazione addotta dal Consiglio Superiore a supporto del rigetto dell’istanza avanzata dall’odierno appellato risulta del tutto pertinente e non esibisce alcun profilo di irragionevolezza o arbitrarietà sindacabile in questa sede di legittimità.
Come ricordato in premessa, l’Organo di autogoverno ha infatti rilevato che la madre del magistrato, portatrice di handicap grave, può ben essere assistita da altri familiari e in particolare dalla figlia, la quale abita nel medesimo stabile e svolge attività commerciale in società con altro soggetto, col quale dunque potrebbe alternarsi.
Oppone al riguardo l’appellato per un verso che l’attività commerciale di cui si discute – consistente nella gestione di una pizzeria-ristorante – è così gravosa da impegnare la sorella per l’intera giornata; per l’altro che la sorella stessa ha dichiarato di non volersi e potersi occupare della madre.
Per quanto riguarda l’indisponibilità soggettiva, trattasi di profilo che – alla luce delle considerazioni sopra riportate – risulta del tutto recessivo nell’economia complessiva della controversia.
Per quanto riguarda l’impedimento lavorativo si rileva in primo luogo che, come ben dedotto dall’Avvocatura, appare improbabile affermare che l’attività professionale di un magistrato ordinario possa definirsi in via assoluta come meno impegnativa rispetto a quella di un esercente una attività commerciale.
Ma, anche a voler prescindere da questo improprio profilo comparativo, non sembra che la conduzione di una attività commerciale in consocietà possa configurarsi come elemento veramente ostativo all’espletamento di una doverosa assistenza in favore di uno stretto congiunto residente nello stesso stabile.
Infatti, l’impedimento addotto dalla sorella dell’appellato ha natura del tutto ordinaria e può facilmente essere superato con opportuni accorgimenti.
Il vero è che nell’ottica dell’appellato il familiare lavoratore, per il solo fatto di essere abitualmente impegnato nella propria attività, dovrebbe intendersi come soggetto impossibilitato a prestare assistenza al disabile: ma, come si è visto, questa impostazione non può essere in alcun modo condivisa perché dà luogo ad evidenti abusi e perché soprattutto tradisce le finalità solidaristiche perseguite dalla normativa sull’assistenza ai soggetti portatori di handicap.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello dell’Amministrazione va quindi accolto, con integrale riforma della sentenza impugnata e rigetto del ricorso di primo grado e dei relativi motivi aggiunti.
Le spese del giudizio possono essere compesate, avuto riguardo alle oscillazioni giurisprudenziali delle quali si è riferito.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez. IV, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe, riforma integralmente la sentenza impugnata e respinge il ricorso originario e i relativi motivi aggiunti.
Le spese del doppio grado di giudizio sono compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2010 con l’intervento dei Signori:
Gaetano Trotta, Presidente
Antonino Anastasi, Consigliere, Estensore
Anna Leoni, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere
Vito Carella, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/02/2010