Carta docenti e “supplenze brevi”: spunti di riflessione alla luce degli ultimi interventi della CGUE e della Cassazione

Corte di Giustizia Europea, causa  C – 270/22, sentenza del 30.11.2023

Corte di Cassazione, sentenza n. 29961/2023.

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La sentenza n. 29961/2023 con cui la Cassazione ha affrontato la problematica della carta docente ha lasciato aperti vari interrogativi.

La Corte ha ritenuto che il beneficio si sostanzi in un bonus annuale “per anno scolastico”.

Ai fini della “comparabilità”, la Cassazione si è posta il problema di individuare le tipologie di supplenze da considerare equipollenti o comunque sufficienti per l’erogazione di detto beneficio, ritenendo equo estendere il bonus alle tipologie di supplenza annuale (fino al 31 agosto) o fino al termine delle attività didattiche (30 giugno), pur non escludendo – in linea di principio- il caso di “supplenze temporanee che coprano un lasso temporale pari o superiore a quello che (..) , giustifica il pieno riconoscimento della Carta Docente in caso di supplenze ai sensi dell’art. 4, co. 1 e 2, L. 124/1999”.

Appare dunque pacifico il diritto dei docenti precari di fruire del bonus e il fatto che tale bonus deve essere necessariamente attribuito a tutti i precari incaricati di supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche.

Per quanto riguarda le cosiddette “supplenze brevi”, la Corte ha esplicitamente deciso di non pronunciarsi; in sostanza, non è chiaro se in questi casi “non spetti nulla oppure si applichi una regola pro rata temporis” (art. 4, punto 2, dell’Accordo Quadro), tale da ricalibrare la misura del beneficio in ragione del ridursi dei periodi di insegnamento e dell’incidenza di esso sulla didattica” (Corte di Cass., sentenza cit.).

Ugualmente fuori dal giudizio è rimasta la questione sulla rilevanza delle “ore” svolte.

In questo quadro, la giurisprudenza continua ad interrogarsi su alcune questioni.

Ci si chiede in particolare:

a) se è necessario che il docente abbia un contratto a tempo pieno o sia sufficiente la nomina su uno “spezzone”;

b) se è possibile il riconoscimento del bonus nel caso di supplenza che non abbia quale termine finale il 31 agosto o il 30 giugno e – in ogni caso- se sia possibile individuare un “servizio minimo”, ai fini del riconoscimento del bonus.

In ordine al primo punto, lo scrivente ha già evidenziato in un precedente intervento un contrasto tra le Corti, avendo la Cassazione ritenuto non confrontabile il caso di docente di ruolo con contratto part time con quello del docente precario impegnato per lo stesso numero di ore.

Si ricorda in proposito che la Corte Europea – con sentenza successiva alla pronuncia della Cassazione-  ha osservato che “non vi è nulla che indichi” che “il carattere breve e discontinuo” di alcuni incarichi sia tale “da modificare sostanzialmente le mansioni esercitate”, né sussiste alcun elemento idoneo a dimostrare che ciò avrebbe “l’effetto di escludere l’esperienza in tal modo maturata”.

Inoltre, la Corte Europea ha tenuto a precisare che l’anzianità dei docenti con contratto a tempo indeterminato “non appare dipendere dalla quantità di lavoro effettivamente prestata”, quanto piuttosto dalla durata del rapporto di lavoro.

A parere dello scrivente, l’affermazione della CGUE sull’irrilevanza della “quantità di lavoro effettivamente prestata” (venendo posto l’accento sulla durata del rapporto di lavoro) dovrebbe consentire al Giudice nazionale di riconoscere senza problemi la carta docenti anche nel caso di supplenza su uno spezzone.

La questione delle supplenze “brevi”.

E’ opportuno precisare che la normativa nazionale considera supplenze temporanee anche quelle rese fino al termine delle attività didattiche (nonchè quelle fino al termine delle lezioni).

Com’è noto a tutti gli operatori del mondo della scuola, accade sovente che un supplente assunto per sostituire una docente in maternità finisca per lavorare – di proroga in proroga- fino alla chiusura della scuola.

Appare evidente come in casi del genere sia arduo escludere la “natura annuale” della supplenza, benché formalmente si sia trattato di una supplenza “temporanea”, niente affatto “breve”.

Soccorre a questo proposito quanto ritenuto dalla Cassazione con la citata sentenza n. 29961/2023.

Partendo dall’affermazione “l’avere il legislatore riferito quel beneficio all’“anno scolastico” non consente di escludere da un’identica percezione di esso quei docenti precari il cui lavoro, secondo l’ordinamento scolastico, abbia analoga taratura”, la Corte (sent. cit., 7.5) ha ritenuto  “in sé inidoneo (è) anche il dato normativo dei 180 giorni valorizzato da alcune norme del sistema scolastico”, in quanto tali disposizioni non si prestano (…) a costituire un valido metro di paragone per le valutazioni qui necessarie per definire il senso dell’”annualità” di una “didattica”.

Tuttavia  la Corte non ha escluso (sent. cit., 10) “la possibilità di assimilare estensivamente alla didattica “annuale”, di cui all’art. 4, co. 1 e 2 della L. 124/1999, il caso in cui la sommatoria di supplenze temporanee sia tale da completare un periodo pari a quello minimo proprio della figura tipica dei contratti fino al termine delle attività di didattiche”.

La normativa sulle supplenze.

Il conferimento delle supplenze- com’è noto (e come ricordato dalla Cassazione)- è disciplinato dalla l. n. 124/1999.

L’art. 4, comma 2, di tale legge recita: ”Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario”.

Dunque, il “periodo minimoproprio della figura tipica dei contratti fino al termine delle attività didattiche” decorre  dal 31 dicembre al 30 giugno, per un totale di 6 mesi, corrispondenti a circa 180 giorni (per la precisione 182).

Pertanto, ai fini del calcolo del periodo pari a quello minimo proprio della figura tipica dei contratti fino al termine delle attività di didattiche, si dovranno considerare 180 giorni (o, al massimo, appena qualche giorno in più).

Del resto, sarebbe davvero iniquo riconoscere il beneficio ad un docente che abbia prestato servizio per poco più di 6 mesi e negare lo stesso beneficio ad altro docente che abbia reso un servizio anche di gran lunga superiore, magari senza soluzione di continuità, nel medesimo istituto e coprendo di fatto l’intero anno scolastico.

Le prime pronunce successive alla sentenza della Cassazione si sono in genere limitate a riconoscere la Carta docenti in caso di contratti al 31 agosto o al 30 giugno, sorvolando frettolosamente sulla questione di supplenze di pari o maggiore durata, seppure con un diverso termine finale.

Non mancano però alcune pronunce da parte della giurisprudenza più attenta.

Si segnalano in proposito due recentissime sentenze (Tribunale di Prato n.7/2024 del 17 gennaio 2024, Tribunale di Lanciano, n. 24/2024 del 5 febbraio 2024).

                                                                   Avvocato Francesco Orecchioni