Le qualificazioni conseguite in Regione Campania ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 del D.lgs. 13 del 16.01.2013 vanno riconosciute ai fini dell’attribuzione del punteggio nell’ambito delle graduatorie di terza fascia del personale ATA

Accoglimento giudiziario da parte del Tribunale Ordinario in funzione Giudice del Lavoro –  Tribunale di Parma – Sezione Lavoro, sentenza del 07/11/2023

di Giuseppe Sabbatella, avvocato specializzato in diritto del lavoro e diritto scolastico

La ricorrente, Assistente amministrativo presso un Istituto Comprensivo della città di Parma, a seguito dei controlli effettuati successivamente al conferimento della supplenza, si vedeva notificare un provvedimento di rettifica del punteggio con cui si disponeva la “non valutabilità” dell’attestato di Operatore amministrativo – contabile rilasciato, ai sensi e per gli effetti dell’art 6 del D. lgs 2013/13, da un ente di formazione accreditato dalla Regione Campania, per non conformità alle caratteristiche richieste dalla normativa di settore.

Invero, secondo l’amministrazione procedente, il titolo posseduto non poteva essere riconosciuto ai fini del punteggio a motivo del fatto che lo stesso risulterebbe essere “rilasciato ai sensi dell’art. 6 del D.lgs. 13/2013 e non ai sensi dell’art. 8 dello stesso D.lgs.”.

La lavoratrice, che si era vista decurtare 1,50 punti in graduatoria in uno alla risoluzione anticipata del contratto di lavoro, si rivolgeva all’avv. Giuseppe Sabbatella, il quale con ricorso ex art. 414 c.p.c. adiva la competente autorità giudiziaria al fine di ottenere la tutela del diritto leso dal provvedimento illegittimo.

Il Tribunale di Parma, con sentenza del 7/11/2023, accoglieva le richieste formulate dal legale, con la seguente motivazione:

“La tesi del Ministero pare presupporre che esistano diversi tipi di attestati di certificazione delle competenze, alcuni validi ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 13/2013 – tra cui quello posseduto dalla ricorrente – e alcuni validi ai sensi dell’art. 8 d.lgs. 13/2013: solo questi ultimi attribuirebbero il diritto al riconoscimento di punti 1,50 nelle graduatorie ATA, secondo quanto disposto dal punto 3, All. A/1, D.M. 50/2021.

Tuttavia, si rileva che tale ricostruzione non è confortata da alcun addentellato normativo: infatti, va osservato che le due norme richiamate dall’Amministrazione non identificano diversi tipi di attestato, ma regolano semplicemente aspetti diversi del complessivo statuto normativo degli attestati stessi.

L’art. 6 d.lgs. 13/2013 identifica infatti gli «standard minimi di attestazione» che devono essere rispettati dall’ente attestatore affinché i certificati rilasciati possano avere il valore riconosciuto dalla legge.

L’art. 8 d.lgs. 13/2013, invece, disciplina l’istituzione del «repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali», ma non prevede in nessuna sua parte che siano richiesti requisiti aggiuntivi a quelli indicati all’art. 6 d.lgs. 13/2013 per ottenere l’iscrizione del titolo nel repertorio nazionale.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione scolastica, l’esistenza di titoli validi ai sensi dell’art. 6, ma non ai sensi dell’art. 8 d.lgs. 13/2013, non è presupposta neppure dal richiamato punto 3, All A/1, D.M. 50/2021, che richiama il repertorio di cui all’art. 8, ma non postula certo che certificati validi ai sensi dell’art. 6 non siano iscrivibili nel repertorio stesso.

[…]

Il Ministero deve altresì essere condannato al pagamento delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte alla ricorrente dalla data della risoluzione anticipata a quella di scadenza del contratto, oltre a rivalutazione e interessi ai sensi dell’art. 429 co. 3 c.p.c., in quanto danno patrimoniale subito dalla ricorrente in nesso di causalità diretta con la determinazione illegittima assunta dall’Amministrazione”

Dopo il Tribunale di Milano, dunque, anche il Tribunale di Parma riconosce la piena validità degli attestati di rilasciati da enti di formazione accreditati dalla Regione Campania ai sensi dell’art. 6 del D.lgs. 13 del 2013.

La sentenza riveste particolare interesse perché le amministrazioni resistenti sono state altresì condannate al risarcimento del danno in favore della lavoratrice, corrispondente alla retribuzione che questa avrebbe percepito dalla data della risoluzione anticipata a quella di naturale scadenza del contratto di lavoro.