Tribunale di Cuneo – Sentenza n. 272/2023 del 29.06.2023
1. Nel caso preso in esame dal Tribunale piemontese, con il patrocinio dell’Avv. Andrea Romano del Foro di Cuneo, pur essendo i contratti a termine del ricorrente, a parte il primo relativo all’anno scolastico 2014/2015, successivi all’entrata in vigore della L. 107/2015, è in ogni caso ravvisabile un utilizzo abusivo di detto tipo di contratto in quanto la reiterazione si è protratta per oltre un triennio ed inoltre in quanto, nel periodo in questione, non era prevista alcuna misura di ‘stabilizzazione’ e quindi non vi era la certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego (cfr. Corte Appello Torino n. 230/2022 rel. Casarino).
2. E’ anche vero che il ricorrente è stato infatti immesso in ruolo nel settembre 2019, ma ciò è avvenuto all’esito di un’ordinaria procedura concorsuale, non idonea a sanare l’abuso, considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 15353/20, Cass. 14815/21, Cass. 15240/21), l’immissione in ruolo costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito a condizione che essa avvenga nei ruoli dell’ente che ha commesso l’abuso e che si ponga con esso in rapporto di diretta derivazione causale, non essendo sufficiente che l’assunzione sia stata semplicemente agevolata dalla successione dei contratti a termine, bensì occorrendo che sia stata da essa determinata. Infatti, il ricorrente è stato immesso in ruolo all’esito di un’ordinaria procedura di tipo concorsuale, indetta peraltro quando l’abuso si era già verificato (il primo contratto a termine è, infatti, relativo all’anno scolastico 2014-2015 – cfr. in termini, Corte Appello Torino n. 230/2022 cit.), sicché l’assunzione non si pone in relazione immediata e diretta con l’abuso ma è piuttosto l’effetto diretto del superamento della selezione di merito, in ragione della sua capacità e professionalità. L’immissione in ruolo dell’appellato non ha dunque cancellato l’abuso né le conseguenze pregiudizievoli da esso derivate (cfr. Corte Appello Torino n. 230/2022 cit.).
Non è quindi sufficiente che l’assunzione in ruolo sia stata agevolata dalla successione dei contratti a termine, ma occorre che essa sia stata da questa determinata, circostanza ravvisabile quando l’assunzione in ruolo si verifichi per effetto automatico della reiterazione dei contratti a termine o all’esito di procedure riservate ai dipendenti reiteratamente assunti a termine e bandite allo specifico fine di superare il precariato, che offrano già ex ante una ragionevole certezza di stabilizzazione, anche se attraverso blande procedure selettive. Diversamente, quando invece l’immissione in ruolo avviene all’esito di una procedura di tipo concorsuale, l’assunzione non è in relazione immediata e diretta con l’abuso ma, piuttosto, è l’effetto diretto del superamento della selezione di merito. La procedura concorsuale (indetta con D.D. 85/2018 ai sensi dell’art. 17 co. 2 lett. b), e co. 3, 4, 5 e 6, D. Lgs. 59/2017) a cui ha partecipato il ricorrente era accessibile a personale docente in possesso del titolo di abilitazione all’insegnamento in una o più classi di concorso della scuola secondaria di primo o di secondo grado, ma non era richiesto che si trattasse necessariamente di personale all’epoca ancora precario, essendo invece ammesso anche personale di ruolo (v. art. 3 del bando – doc.n. 10 fasc. ricorrente). Il concorso, inoltre, ha operato un’effettiva selezione sulla base del merito, considerato che la valutazione dei titoli poteva incidere solamente parzialmente rispetto alla prova orale (rispettivamente fino a 60 punti e fino a 40 punti) (v. art. 9 del bando) e che, comunque, la prova orale era finalizzata all’accertamento della preparazione del candidato secondo quanto previsto dall’ Allegato A di cui al D.M. n. 95/2016 (v. art. 8 del bando). Infatti, del punteggio conseguito dall’appellato (78,90) 27,00 punti sono stati ottenuti per il superamento della prova orale, come risulta dalla graduatoria di merito regionale (GMRE) allegata al decreto prot. n° 748 del 13/08/2018 (cfr. doc.n. 11 fasc. ricorrente). La circostanza che il concorso fosse accessibile anche a personale a tempo indeterminato impedisce di considerarlo quale misura sanante dell’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato, come tale idonea ad escludere il diritto al risarcimento del danno, proprio in quanto concorso aperto anche a coloro che non avevano subìto alcun abuso (cfr. ancora, Corte Appello Torino n. 230/2022 cit). Indipendentemente, quindi, dalla definizione del concorso, contenuta nel bando, come ‘ordinario’ o ‘straordinario’, il concorso superato dal ricorrente non può essere considerato diretto alla stabilizzazione dei docenti precari, sia perché non riservato soltanto a personale da stabilizzare (in quanto già di ruolo), sia perché, considerato il suo effettivo carattere selettivo di cui è detto, non offriva, ex ante, una ragionevole certezza di stabilizzazione. L’assunzione del ricorrente all’esito del concorso è dunque l’effetto del superamento, per merito, del concorso, e non si pone pertanto in relazione immediata e diretta con l’abuso (cfr. ex pluribus, v. gli arresti della Cass. del 20 marzo 2018 n. 6935, 21 marzo 2018 nn. rr. 7060 e 7061, 19 novembre 2018, n. 29779).
3. Ne deriva quindi che poiché tutti i contratti sono relativi a supplenze annuali su posto in organico di diritto sulla medesima cattedra e presso lo stesso istituto scolastico, è ravvisabile un’abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato a partire dall’anno scolastico 2017/2018, e il Ministero è quindi tenuto a risarcire al ricorrente il danno ex art. 32 cit., liquidato, tenuto conto del numero di reiterazioni presso la stessa scuola e la stessa cattedra, nella misura compresa tra le 2,5 e le 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.
Il diritto al risarcimento del danno in favore della parte ricorrente, invero, è stato riconosciuto in via autentica dall’art. 1, comma 132, della L. 107/2015, ossia dalla norma che ha istituito un fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a trentasei mesi, anche non continuativi, su posti vacanti (cioè privi di titolare temporaneamente assente). Il legislatore, dunque, ha esplicitamente riconosciuto l’esistenza di un danno derivante dalla mera reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a trentasei mesi, anche non continuativi, su posti vacanti (per tutte, Cass. Sezioni Unite, sent. n. 5072 del 15 marzo 2016).
4. In applicazione di detto criterio e considerata la durata dei rapporti a termine in esame, è apparsa equa, nella fattispecie, la condanna del Ministero al risarcimento dei danni in favore del ricorrente nella misura massima, pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza fino al saldo.