La dispersione scolastica in Italia: il PTOF e l’obbligo di vigilanza

Don Milani nel libro “Lettere ad una professoressa” scriveva:

“Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”

Tanto premesso, i test INVALSI degli ultimi anni dimostrano una preoccupante correlazione tra risultati scolastici educativi, e status socio-economico delle famiglie.

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, ai sensi dell’art. 3 co 1 lett. g della legge istitutiva, 12 luglio 2011, n.112, ha il compito di segnalare al Governo, alle Regioni e agli enti locali tutte le iniziative atte a promuovere e tutelare i diritti delle persone di minore età, con particolare riferimento al diritto all’educazione e all’istruzione.

A tal fine nel giugno 2022 l’Autorità ha pubblicato: “La dispersione scolastica in Italiana: un’analisi multifattoriale”.

Nell’introduzione del Rapporto in oggetto si può leggere:

L’educazione è un diritto umano fondamentale, universale, inalienabile e indivisibile. Il diritto all’istruzione è definito come tale in diversi trattati e accordi internazionali, in particolare nella nostra Costituzione1 e nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC, artt. 28 e 29), i due pilastri che forniscono il quadro di riferimento di questo lavoro. I due concetti, educazione e istruzione non vanno scissi, anzi sono intimamente legati, tanto che non è astrattamente pensabile una lezione che ponga nozioni e contenuti sic et simpliciter, senza immaginarla nell’ambito di un atto educativo in senso lato. L’ONU ha riconosciuto con forza che riducendo la povertà, le disuguaglianze e l’ingiustizia sociale, promuovendo la crescita economica sostenibile, migliorando la salute delle persone – di quelle di minore età in particolare – e sostenendo la protezione del pianeta, l’insieme di istruzione ed educazione contribuisce al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile 1, 4 e 10 (ONU, 2015-30). Questi ultimi rappresentano, insieme alla Costituzione italiana e alla CRC, un riferimento irrinunciabile di questo testo e indicano la necessità di fornire un’educazione di qualità , equa e inclusiva, oltre che opportunità di apprendimento per tutte e tutti a partire dalla prima infanzia (Obiettivo di sviluppo n.4). C’è pertanto un consenso generale sul fatto che sistemi educativi efficaci ed equi siano essenziali per lo sviluppo e il benessere individuali, come per la prosperità economica e la coesione sociale. Garantire la riuscita scolastica si configura così come un’azione di giustizia sociale, oltre che una necessaria strategia di occupazione e crescita. Per raggiungere i tre obiettivi di sviluppo sostenibile sopra indicati e rendere esigibili i diritti a essi connessi, i documenti citati sostengono che non basta far entrare i bambini a scuola: la riuscita scolastica è, prima che un esito, un lungo processo che ha a che fare con sfide significative riguardanti la crescita umana nel suo complesso e sin dai primissimi giorni di vita, il contesto familiare e sociale, i processi e i contesti dell’apprendimento e dell’insegnamento, considerati nella loro diversità, come nel loro insieme.”

In riferimento alle cause della dispersione scolastica si può leggere:

Un indicatore molto diffuso e riconosciuto a livello internazionale per “misurare” la dispersione scolastica è l’abbandono scolastico precoce . Questo indicatore si basa sulla percentuale di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno completato al massimo la scuola dell’obbligo e che non sono coinvolti in percorsi formativi di livello superiore nelle quattro settimane precedenti l’indagine. In Italia ciò corrisponde ai giovani che nella migliore delle ipotesi hanno ottenuto la licenza media e che non frequentano – o hanno smesso di frequentare – le superiori. Esso è diventato anche uno dei benchmark della Strategia “Europa 2020”, con un target fissato al 10%, poi ridotto al 9% da raggiungere entro il 2030. In Italia, come si vedrà meglio nel prosieguo di questo capitolo, il Servizio statistico del Ministero dell’istruzione monitora il fenomeno annualmente soprattutto in termini di abbandoni. Ad esempio, l’ultima rilevazione disponibile (2021),11 segnala che la percentuale di abbandono complessivo, per la scuola secondaria di I grado, è stata dello 0,64% (pari a 10.938 alunni), mentre per la scuola secondaria di II grado questo dato ammonta al 3,79% (pari a 98.787 alunni). In totale, dunque, sono circa 110.000 gli alunni che abbandonano annualmente la scuola italiana, oltre a quelli che si perdono nel passaggio dal primo al secondo ciclo. Secondo l’analisi fornita dall’ISTAT (2021), l’abbandono scolastico è un fenomeno complesso e articolato che appare causato da una serie di fattori, tra cui la situazione socioeconomica della persona, il background formativo della famiglia, i fattori di attrazione del mercato del lavoro, il rapporto con la scuola e con i programmi educativi offerti, le caratteristiche individuali e caratteriali della persona.”

Il rapporto evidenzia un altro importante fenomeno:

Ciò significa in pratica che gli alunni più deboli economicamente e culturalmente tendono a raggrupparsi in alcune scuole, creando un una sorta di “ghetto educativo” da cui discendono dinamiche a cascata: l’apprendimento degli alunni sarà influenzato dal livello generale dei compagni più che dalle caratteristiche personali, mentre gli insegnanti saranno portati a ricalibrare programmi e metodi sulla base delle contingenze, penalizzando così gli studenti di livello potenzialmente più alto. Il territorio di appartenenza conta, quindi, ma conta anche l’ambiente sociale, economico e culturale di provenienza. In tutte le competenze testate da Invalsi emerge, infatti, che il punteggio cresce al crescere dello status sociale, con scarti maggiori tra i punteggi bassi e medio-bassi rispetto a quelli alti. Lo status influisce anche sulla scelta della scuola superiore: a parità di risultati scolastici, coloro che provengono da contesti più agiati sono più propensi a orientarsi verso i licei rispetto a coloro che provengono da famiglie di ceto socioeconomico modesto. Anche la cittadinanza incide sui risultati scolastici, soprattutto a svantaggio degli stranieri nati all’estero.”

DISPERSIONE SCOLASTICA E PIANO TRIENNALE DELL’OFFERTA FORMATIVA.

Nel rimandare alla lettura dell’interessante Rapporto, presente su internet, si passa dal macrocontesto socio-politico-economico, al microcontesto, ossia come può in modo giuridicamente corretto il singolo Istituto scolastico lottare contro la dispersione scolastica.

L’obbligo scolastico è previsto della durata di 10 anni dall’art. 1, comma 622, della legge n. 296/2022; tale obbligo è ribadito dal DM n. 139/2007, e dalla CM n. 101/2010

L’art. 1, comma 1, della legge n. 107/2015 recita:

“Per affermare il ruolo  centrale  della  scuola  nella  societa’ della conoscenza e innalzare i livelli di istruzione e le  competenze delle studentesse e degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento, per contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, per prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione scolastica……”

Gli artt. 3-4 del DPR n. 275/1999 recitano:

“Art. 3
(Piano dell’offerta formativa)

  1. Ogni istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il Piano dell’offerta formativa. Il Piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia.
  2. Il Piano dell’offerta formativa è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi determinati a livello nazionale a norma dell’articolo 8 e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell’offerta formativa. Esso comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, e valorizza le corrispondenti professionalità.
  3. Il Piano dell’offerta formativa è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi generali per le attività della scuola e delle scelte generali di gestione e di amministrazione definiti dal consiglio di circolo o di istituto, tenuto conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni anche di fatto dei genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti. Il Piano è adottato dal consiglio di circolo o di istituto.
  4. Ai fini di cui al comma 2 il dirigente scolastico attiva i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio.
  5. Il Piano dell’offerta formativa è reso pubblico e consegnato agli alunni e alle famiglie all’atto dell’iscrizione.

Art. 4
(Autonomia didattica)

  1. Le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema, a norma dell’articolo 8 concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo.
  2. Nell’esercizio dell’autonomia didattica le istituzioni scolastiche regolano i tempi dell’insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni. A tal fine le istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune e tra l’altro:
    1. l’articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività;
    2. la definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l’unità oraria della lezione e l’utilizzazione, nell’ambito del curricolo obbligatorio di cui all’articolo 8, degli spazi orari residui;
    3. l’attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio generale dell’integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo, anche in relazione agli alunni in situazione di handicap secondo quanto previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104;
    4. l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso;
    5. l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari.
  1. Nell’ambito dell’autonomia didattica possono essere programmati, anche sulla base degli interessi manifestati dagli alunni, percorsi formativi che coinvolgono più discipline e attività nonché insegnamenti in lingua straniera in attuazione di intese e accordi internazionali.
  2. Nell’esercizio della autonomia didattica le istituzioni scolastiche assicurano comunque la realizzazione di iniziative di recupero e sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale, coordinandosi con le iniziative eventualmente assunte dagli enti locali in materia di interventi integrati a norma dell’articolo 139, comma 2, lett. b) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Individuano inoltre le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale ed i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati.
  3. La scelta, l’adozione e l’utilizzazione delle metodologie e degli strumenti didattici, ivi compresi i libri di testo, sono coerenti con il Piano dell’offerta formativa di cui all’articolo 3 e sono attuate con criteri di trasparenza e tempestività. Esse favoriscono l’introduzione e l’utilizzazione di tecnologie innovative.
  4. I criteri per il riconoscimento dei crediti e per il recupero dei debiti scolastici riferiti ai percorsi dei singoli alunni sono individuati dalle istituzioni scolastiche avuto riguardo agli obiettivi specifici di apprendimento di cui all’articolo 8 e tenuto conto della necessità di facilitare i passaggi tra diversi tipi e indirizzi di studio, di favorire l’integrazione tra sistemi formativi, di agevolare le uscite e i rientri tra scuola, formazione professionale e mondo del lavoro. Sono altresì individuati i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi relativi alle attività realizzate nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa o liberamente effettuate dagli alunni e debitamente accertate o certificate.
  5. Il riconoscimento reciproco dei crediti tra diversi sistemi formativi e la relativa certificazione sono effettuati ai sensi della disciplina di cui all’articolo 17 della legge 24 giugno 1997 n. 196, fermo restando il valore legale dei titoli di studio previsti dall’attuale ordinamento.”

La CM n. 1143/2018 recita:

“Anche la Legge 13 luglio 2015, n. 107 e i successivi decreti legislativi rafforzano ulteriormente l’autonomia scolastica “(,..) per garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo ,,nonché il riconoscimento e la valorizzazione dei talenti di ognuno. Tale finalità costituisce l’obiettivo principale del sistema scuola del nostro Paese. Nello svolgimento di questa funzione, le istituzioni scolastiche possono avvalersi di tutti gli strumenti di pianificazione strategica previsti dalla normativa, sia a livello di scuola che di singola classe.”

Le “parole d’ordine” che si estrapolano agevolmente dalla citata normativa sono:

  1. successo formativo” e “pari opportunità” di successo formativo;
  2. “personalizzazione della didattica”;
  3. “programmazione didattica con e per il Territorio”;
  4. “verifica del grado di inclusività” dell’Istituto scolastico

In altri termini il PTOF deve:

  1. essere il risultato di un confronto, e di una collaborazione attiva con la Comunità educante, sociale, istituzionale, economica, culturale,…. del Territorio, nell’ottica di Piani Educativi di Territorio;
  2. prevedere “senza sconti” la personalizzazione degli interventi educativi per favorire con ogni modalità il raggiungimento del successo formativo da parte degli studenti;
  3. indicare modalità specifiche di valutazione per gli studenti con bisogni educativi speciali;
  4. prevedere un costante monitoraggio dell’inclusività dell’Istituto scolastico, utilizzando gli indicatori presenti nella letteratura scientifica in merito.

LA VIGILANZA SULL’OBBLIGO SCOLASTICO

L’art. 5 del dlgs n. 76/2005 recita:

“ART.5
(Vigilanza sull’assolvimento del diritto-dovere e sanzioni)

  1. Responsabili dell’adempimento del dovere di istruzione e formazione sono i genitori dei minori o coloro che a qualsiasi titolo ne facciano le veci, che sono tenuti ad iscriverli alle istituzioni scolastiche o formative.
  2. Alla vigilanza sull’adempimento del dovere di istruzione e formazione, anche sulla base dei dati forniti dalle anagrafi degli studenti di cui all’articolo 3, così come previsto dal presente decreto, provvedono:
    1. il Comune, ove hanno la residenza i giovani che sono soggetti al predetto dovere;
    2. il dirigente dell’istituzione scolastica o il responsabile dell’istituzione formativa presso la quale sono iscritti ovvero abbiano fatto richiesta di iscrizione gli studenti tenuti ad assolvere al predetto dovere;
    3. la Provincia, attraverso i servizi per l’impiego in relazione alle funzioni di loro competenza a livello territoriale;
    4. i soggetti che assumono, con il contratto di apprendistato di cui all’articolo 48 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276, i giovani tenuti all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, nonché il tutore aziendale di cui al comma 4, lettera f), del predetto articolo e i soggetti competenti allo svolgimento delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, di cui al decreto legislativo 23 aprile 2004, n.124.
  3. In caso di mancato adempimento del dovere di istruzione e formazione si applicano a carico dei responsabili le sanzioni relative al mancato assolvimento dell’obbligo scolastico previsto dalle norme previgenti.”

Dal punto di vista penale, per il mancato assolvimento dell’obbligo scolastico, e della relativa vigilanza, (nella fase della scuola primaria) è rilevante l’art. 731 c.p., che recita:

“Chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza giusto motivo, d’impartirgli o di fargli impartire l’istruzione elementare è punito con l’ammenda fino a euro 30.”

In merito al fatto che il reato in oggetto riguarda esclusivamente la frequenza della scuola primaria, si cita la sentenza della Corte di Cassazione n. 4523/2017, che recita:

“L’inosservanza dell’obbligo di frequentare la scuola media inferiore non configura la contravvenzione di cui all’art. 731 cod. pen., in quanto secondo la normativa vigente a seguito dell’abrogazione dell’art. 8 della legge 31 dicembre 1962, n.1859, ad opera del D.Lgs. 13 dicembre 2010, n.212, tale obbligo permane limitatamente all’istruzione elementare.”

Invece la sentenza della Corte di Cassazione n. 16438/2011, sottolinea un altro importante aspetto della questione, recitando:

“Ai fini dell’integrazione del reato di inosservanza dell’obbligo di istruzione dei minori la mancata conoscenza, da parte dei genitori, della omessa frequentazione scolastica dei propri figli non esclude l’elemento soggettivo, incombendo comunque su di essi uno specifico dovere, morale e giuridico, di vigilanza.”

CONCLUSIONI.

In sintesi:

  1. il PTOF deve affrontare il rischio dispersione, e deve individuare strategie atte a ridurre il fenomeno;
  2. deve essere costantemente monitorato e valutato il grado di inclusività dell’Istituto scolastico;
  3. deve essere garantita la personalizzazione degli interventi didattici;
  4. deve essere costantemente monitorata la frequenza degli studenti in obbligo scolastico, e tempestivamente segnalate, dopo una preliminare comunicazione alle famiglie o soggetti interessati con le relative deduzioni, le situazioni anomale ai servizi sociali del Comune di residenza degli studenti inadempienti all’obbligo scolastico.

Gianni Paciariello, Presidente dell’Associazione Papa Giovanni Paolo II, che si occupa di tutela dei diritti degli studenti, e dirigente scolastico in quiescenza