La Corte d’Appello di Ancona, Sezione Lavoro, Sentenza n. 47/2021 del 28.01.2021, ha rigettato l’appello del Ministero dell’Istruzione, confermando il diritto di precedenza della Dirigente Scolastica, ai sensi della Legge 104/1992, art. 3, c. 3, al trasferimento nella sede più vicina al domicilio del disabile.
L’Avv. Giuseppe Versace (Presidente dell’Associazione denominata “Avvocati di Diritto Scolastico – Associazione Nazionale A.D.S.”), pensa che la Corte d’Appello Anconetana ha statuito importati principi di diritto, che meritano di essere evidenziati.
La Corte ha stabilito che l’assegnazione va fatta preferibilmente su posti vacanti, con diritto di scelta in capo alla lavoratrice; in mancanza di tali posti, il trasferimento dovrà comunque essere attuato anche in sovrannumero.
Si aggiunga che, se da un lato la giurisprudenza richiamata nell’atto di appello ritiene che la vacanza del posto è presupposto indefettibile per il riconoscimento del diritto di cui all’art. 33 legge 104/1992, dall’altro va evidenziato che tale presupposto andava verificato, come correttamente fatto dal giudice di prime cure, al momento dell’assegnazione della sede, avvenuta nella seconda fase di utilizzo della graduatoria, allorquando a seguito della rinuncia di alcuni candidati questa veniva riaperta per l’assunzione dei soggetti posizionatisi dopo il numero 1985. Orbene, non è contestato dall’appellante e peraltro risulta dagli atti di causa (doc. 5 fascicolo di primo grado amministrazione appellante) che tra le sedi messe a disposizione dei candidati chiamati nella seconda fase risulta anche la Regione Molise assegnata al candidato collocato in posizione 1990, prima dell’Appellata collocata nella posizione 1996. Si ritiene, pertanto, che sussisteva il presupposto del posto vacante e disponibile, in quanto la stessa amministrazione aveva deciso per la sua copertura, mettendolo a disposizione dei candidati assunti nella seconda tornata.
Il Ministero aveva poi chiesto la nullità della pronuncia di primo grado per mancata integrazione del contraddittorio. Al riguardo, la Suprema Corte in tema d’integrazione del contraddittorio nell’ambito di controversie analoghe ha sancito che l’integrazione è necessaria nel momento in cui si chieda la riformulazione della graduatoria (Cass. 17324/2005); al contrario, nel caso di specie, si lamenta la lesione del diritto a scegliere una sede prossima al congiunto assistito ai sensi della legge 104/92, con richiesta di trasferimento nella Regione Molise, senza pretesa di ottenere l’assegnazione di una determinata sede specifica. Cosicché non risultano determinati né determinabili, i dirigenti scolastici, assegnatari di sedi rispetto ai quali la presente pronuncia, ove di accogliento della domanda, produrrebbe effetti diretti. Peraltro, la possibilità di trasferire l’interessata, anche in soprannumero, esclude l’esigenza di integrazione del contraddittorio. Sul punto, ritiene il Collegio che, a fronte di un comportamento dell’amministrazione lesivo di un beneficio spettante al lavoratore, questi ha diritto ad ottenere il bene della vita illegittimamente sottratto a prescindere dagli assetti occupazionali, posti in essere dall’amministrazione in violazione delle norme primarie vigenti.
L’Amministrazione Scolastica sosteneva, che non vi fosse nessuna violazione della normativa sovrannazionale e costituzionale, sussistendo un interesse pubblico al mantenimento dell’assegnazione della Dirigente sulla sede di prima assegnazione, in proposito la Corte d’Appello, ha specificato che: “va rilevato che l’interesse pubblico che deve essere posto in bilanciamento con la tutela della salute del disabile cui è finalizzata la disposizione di cui all’art. 33 legge 104/92 non può essere quello a mantenere l’interessata nella sede a lei assegnata nella Regione Marche, nel momento in cui tale assegnazione risulti essere stata illegittima, in quanto una simile interpretazione si risolverebbe nel consolidamento di una situazione contra ius, impedendo la tutela giurisdizionale del diritto vantato”. Al contrario, l’interesse pubblico che va bilanciato con l’interesse tutelato dall’art. 33 legge 104/1992 deve essere quello sussistente al momento della scelta della sede, quando l’appellata chiede di esercitare il diritto all’assegnazione della sede più vicina al familiare disabile assistito.
Quanto alla normativa primaria di riferimento che doveva essere tenuta presente dal bando di concorso, come norma speciale ma pur sempre subordinata alla prima, pur essendo indubbio l’interesse dall’amministrazione a che la graduatoria di merito sia fatta valere per la scelta della sede nel rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost., è altresì vero che tale interesse va bilanciato con quello di eguale rango costituzionale della tutela della salute del disabile, cui è finalizzata la disposizione di cui all’art. 33 legge 104/1992.
Ebbene, come rilevato sia nella pronuncia impugnata sia negli altri precedenti di merito versati in atti, la giurisprudenza di merito e di legittimità è coerente nell’affermare che il diritto di scelta della sede sancito dall’art. 33 citato non è un diritto assoluto, tanto che il legislatore ritiene che possa essere riconosciuto “ove possibile”.
Tale ultimo inciso evoca la necessità di bilanciare l’interesse del privato cittadino e della tutela della salute del disabile assistito, sancito dall’art. 32 Cost, con l’interesse della parte datoriale al libero esercizio dell’attività economica, previsto dall’art. 41 Cost., che si unisce nel caso della pubblica amministrazione all’esigenza del buon andamento ed imparzialità dell’azione della pubblica amministrazione tutelato dall’art. 97 Cost.
Per tali ragioni, la Cassazione ha ritenuto di affermare che il diritto (di cui all’art. 33 legge 104/92) non è assoluto e privo di condizioni ed implica un recesso del diritto stesso, ove risulti incompatibile con le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi, soprattutto per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico, potrebbe determinarsi un danno per la collettività (Cass. 1396/2006, 7945/2008, 585/2016).
La recente pronuncia di legittimità n. 6550/2019, ricordata anche nella sentenza di primo grado, ha, peraltro, sottolineato che grava sull’amministrazione l’onere di provare l’impossibilità di assegnare il dipendente in sedi in cui risultavano posti disponibili per lo svolgimento delle mansioni.
Nel caso concreto, lo si ribadisce, la circostanza che l’amministrazione avesse indicato sedi nella Regione Molise da coprire con l’assunzione di candidati, tra cui la Dirigente Scolastica, avvenuta nella seconda tornata, fa ritenere sussistenti posti vacanti e disponibili su cui poteva essere esercitato il diritto alla scelta della sede sancito dall’art. 33 legge 104/1992.
Né può sostenersi che tale norma di legge non possa trovare applicazione in presenza di altre disposizioni di norma primaria che disciplinano l’accesso tramite concorso, in particolare considerando l’art. 28 comma 1 DPR 487/1994, per il quale le amministrazioni provvedono ad immettere in servizio sulla base dell’ordine di avviamento e di graduatoria integrata. Ed infatti, trattasi di due disposizioni entrambe di rango primario che devono essere coordinate l’una con l’altra. Il coordinamento, in particolare, viene effettuato nell’ambito della scuola dall’art. 601 del d.lgs. 297/1994, testo unico in materia di istruzione, il quale, al primo comma, sancisce che gli artt. 21 e 33 della legge 104/1992 «si applicano al personale di cui al presente testo unico”, mentre, al secondo comma, dispone che tali norme “comportano la precedenza all’atto della nomina in ruolo, dell’assunzione come non di ruolo e in sede di mobilità».
Si deve, pertanto, concludere che l’art. 33 comma 5 della L. n. 104/1992, per il quale il dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità «ha diritto o scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede» è pienamente applicabile nel caso di specie ed integra una disposizione di legge imperativa, che non può in alcun modo essere derogata dal bando di concorso. Trattandosi di norma che è espressione dello Stato sociale, in favore di coloro che si occupano dell’assistenza nei confronti di parenti disabili e ciò sul presupposto che il ruolo delle famiglie «resta fondamentale nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap» (Corte Cost. 213/2016, 19/2009, 233/2005). L’assistenza del disabile e, in particolare, il soddisfacimento dell’esigenza di socializzazione, in tutte le sue modalità esplicative, costituiscono fondamentali fattori di sviluppo della personalità ed idonei strumenti di tutela della salute del portatore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica [Corte Cost. n. 213/2016; n. 158/2007 e n. 350/2003]. A fronte di tale chiaro impianto normativo deve ritenersi nulla per contrasto con norma imperativa la disposizione del bando di concorso di cui all’art. 15, commi 2 e 3 per la quale: “I vincitori sono assegnati ai ruoli regionali sulla base dell’ordine di graduatoria e delle preferenze espresse dai vincitori stessi all’atto dello scorrimento della graduatoria, nel limite dei posti vacanti e disponibili ciascun anno e in ciascun USR. … Nell’assegnazione della sede di servizio, il competente USR si atterrà a quanto disposto dagli articoli 21 e 33, commi 5, 6 e 7, della legge 104/1992”.
Pertanto, ritenuta la piena applicabilità del disposto dell’art. 33 legge 104/1992 sin dalla scelta degli ambiti regionali, va rilevato che l’amministrazione non ha individuato alcun interesse pubblico che verrebbe leso dall’esercizio del diritto di scelta della sede prima dell’assegnazione dell’ambito regionale. A tale proposito non può avere rilievo la circostanza che la graduatoria in esame è nazionale, elemento che al contrario avvalora l’esigenza di esercitare il diritto di cui all’art. 33 legge 104/1992 prima dell’individuazione della Regione di destinazione, rischiando in caso contrario di vanificare del tutto l’interesse del disabile, in assenza di un interesse contrario in capo all’amministrazione procedente. Ed infatti, tutti i candidati che si decide di assumere, sono stati ritenuti idonei ad occupare uno dei posti vacanti e disponibili individuati dall’amministrazione, sicché è indifferente, in assenza di diversa allegazione e prova della datrice di lavoro, quale candidato venga destinato ad un ambito territoriale piuttosto che ad un altro.
Né una simile operazione rendeva necessario stilare due distinte graduatorie, essendo sufficiente che nella medesima graduatoria si desse precedenza nella scelta a chi potesse vantare il diritto di precedenza per cui è causa.
Ancora si osserva che la precedenza nella scelta conferita sia in sede di assegnazione del ruolo regionale sia in sede di assegnazione della sede all’interno di tale ambito, non implica una duplicazione di benefici, in quanto il diritto vantato è sempre il medesimo, per tutelare il quale è necessario assicurare la scelta con precedenza in entrambe le fasi distinte con cui l’amministrazione ha assegnato le sedi vacanti e disponibili, ossia assegnazione dell’ambito regionale e assegnazione all’interno di esso della singola sede di destinazione.
Ed infatti, l’interpretazione sostenuta nell’atto di appello determinerebbe un vulnus per l’interessato che non potrebbe essere affatto recuperato con l’esercizio del diritto di scelta nella fase di assegnazione della singola sede nell’ambito regionale, in quanto una volta assegnato ad una regione molto distante dal domicilio del familiare da assistere, la scelta di una sede o dell’altra nell’ambito di tale regione è del tutto irrilevante per il lavoratore. Pertanto, o il diritto di precedenza viene riconosciuto in relazione ad entrambe le fasi o il diritto in oggetto rischia di essere gravemente compromesso.
La Corte d’Appello di Ancona, infine, ha disatteso anche la motivazione del Ministero in quanto l’attuale carenza di posti vacanti e disponibili non può incidere su un diritto che andava esercitato al momento della scelta, allorquando per le ragioni esposte è pacifico e documentato che vi era almeno un posto vacante e disponibile nella Regione Molise, oggetto di pretesa. Quanto alla prova e all’allegazione che non vi fossero altri candidati in possesso di punteggio maggiore e di un eguale diritto alla scelta della sede ex art. 33 legge 104/92 che avrebbero scelto la Regione Molise come ambito territoriale di assegnazione, va rilevato che nel momento in cui si afferma che a fronte della lesione del diritto all’assegnazione di una sede nella Regione Molise esso riconosciuto anche in soprannumero, viene meno da un lato l’esigenza di integrazione del contraddittorio dall’altro l’esigenza di valutare se l’applicazione di tale criterio di preferenza nei confronti di tutti i candidati avrebbe in ogni caso permesso di assegnare l’interessata alla Regione Molise. Si aggiunga che, sia per il principio di vicinanza della prova sia per il principio già richiamato, per il quale grava sull’amministrazione l’onere di provare l’impossibilità di assegnare il dipendente a sedi disponibili al momento dell’assunzione, gravava sull’appellante l’onere di individuare ulteriori candidati che potevano vantare il medesimo diritto di precedenza nella scelta e che erano interessati alla medesima Regione per cui è causa.
Per tali motivi l’appello va rigettato con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite del grado.