Di Davide Gambetta, undergraduate in Law alla LUISS “Guido Carli”, giudice arbitrale CESCOND, shadow in uno studio legale a Roma e direttore dello “Sportello sui diritti” (link: https://www.facebook.com/Sportello-sui-diritti-550547358428644/?fref=ts).
Occorre premettere che, a prescindere dall’eventuale invito del Dirigente, esiste sempre una procedura certa ed ineludibile per visionare il compito in classe. Si tratta del c.d. “accesso agli atti”, uno strumento approntato dal diritto amministravo volto a tutelare la trasparenza e l’imparzialità dell’agire della PA. In base al consolidato orientamento giurisprudenziale ed ai netti perimetri normativi, non può essere preclusa al privato la conoscenza degli atti relativi all’attività amministrativa che lo riguardi, salvo deroghe di legge. Sia lo studente (in qualità di interessato diretto), sia il genitore dello studente minorenne (suo rappresentante legale) possono quindi attivare la procedura di accesso per visionare le verifiche sostenute nelle forme e nei modi previsti dalla vigente normativa. I compiti in classe costituiscono, infatti, “atti amministrativi” prodotti nel circuito-scuola e soggiacciono ai principi generali che regolamentano il documento amministrativo. Le “forme” della richiesta devono conciliarsi con il principale cardine legislativo relativo alla tutela dei dati personali (il Decreto Legislativo 196 del 2003), che conferma e sostanzia il diritto ineludibile del privato di accedere agli atti. Responsabile del trattamento dei dati per i documenti prodotti in ambito scolastico è il Dirigente Scolastico (che potrà eventualmente assumere, in una procedura di richiesta, il ruolo di antagonista). Nessuna norma, né nel diritto amministrativo generale, né nella disciplina specifica della privacy, prevede la possibilità di precludere la visione del compito in classe. Impensabile e certamente lesiva dei diritti degli studenti è la scelta, discrezionale ed irragionevole, di impedire la visione genericamente ed indiscriminatamente. Un tale esercizio irrazionale del potere del D.S. lede anche l’intangibile sfera di autonomia professionale del docente e nuoce gravemente alla sua libertà di organizzazione delle attività didattiche, sancita a più riprese nella giurisprudenza. L’assunto convince ancor di più se si guarda alla nuova figura del Dirigente Scolastico come vertice dell’istituzione con responsabilità principalmente amministrative. Il nuovo ruolo del D.S. è più “managerializzato” e richiede maggior cautela nel controllo esterno sulle attività didattiche (a differenza dell’ormai risalente “preside”).
La legge 241 del 1990, che costituisce il principale riferimento normativo nell’ambito della disciplina dell’ accesso agli atti amministrativi, attribuisce espressamente al privato interessato il diritto di “richiedere copia” dell’atto. Sia lo studente che il genitore possono fisiologicamente ottenere una copia fotostatica dell’elaborato (gergalmente “fotocopia”). Sulla base di una giurisprudenza che si è affermata nel corso degli anni e che ha avuto un ampio seguito, non possono essere applicati alla richiesta costi esorbitanti rispetto alle spese per le riproduzioni fotostatiche.
Una recentissima sentenza del T.A.R. Puglia prevede persino il diritto per i genitori di accedere ai documenti relativi alla verifica sostenuta dal proprio figlio, in particolare di visionare i temi d’italiano, anche se il minore ha riportato voti non insufficienti ed ha una carriera scolastica positiva. Il diritto si configura in ragione degli obblighi di controllo dei genitori nei confronti del figlio e mira ad assicurare la massima maturazione del ragazzo. La vigilanza del genitore si configura soprattutto come un controllo attivo sul suo iter scolastico e sul dispiegarsi delle sue personali conoscenze e del suo stato di maturazione. Il T.A.R. argomenta che i genitori hanno il diritto di conoscere il rendimento scolastico dei propri figli fin nel più profondo dettaglio per avere “cognizione dei loro gusti e aspettative”.
Una regolamentazione più esauriente dell’accesso agli atti e del diritto di visione sono contenute, a livello di istituzione scolastica, nel Piano dell’Offerta Formativa.
Altro tema è la prassi comunemente diffusa (e rispettosa dei precetti normativi) di dare comunicazione agli studenti del voto riportato, consegnando contestualmente il compito in originale riportante le correzioni e l’indicazione degli errori. Lo statuto degli Studenti e delle Studentesse non dispone in relazione al diritto di conoscere il voto numerico riportato, eppure risulta incontrovertibile che lo studente abbia un diritto ineludibile a comprendere quantomeno gli errori commessi e le lacune riscontrate. In brevissime, si può ragionevolmente affermare che a seguito di una verifica un giudizio è sempre richiesto. Il docente deve sempre chiarire specificamente i profili di criticità e di merito dell’elaborato o della verifica. Mostrare il compito “corretto e classificato” (per riprendere la terminologia dell’art. 79 del R.D. 653/1925) sembra la conseguenza più logica e ragionevole, nonché la prospettazione universalmente accolta nella prassi. Sulla “comunicazione” del voto numerico non ci sono regole precise, dal che molti deducono che il docente possa tenere il voto riservato, purchè alleghi un giudizio discorsivo esaustivo. La mia opinione personale (supportata da una riflessione consapevole sui diritti dello studente) mi induce a ritenere l’occultamento del voto una scelta raramente foriera di riscontri positivi. Ma non è in linea di principio esclusa.
Non così per la semplice conoscenza degli sbagli, che invece rappresenta una componente essenziale del “giudizio” e non può essere sacrificata. La cognizione delle lacune è infatti funzionale al miglioramento mirato delle proprie conoscenze e ad un’efficientizzazione dello studio. Inibire la consapevolezza degli errori (soprattutto in caso di defaillance specifica), occultando il compito corretto allo studente, costituisce una violazione dei suoi diritti e può dar luogo ad un giudizio di tutela nelle sedi più opportune.