Di Davide GAMBETTA, giudice arbitro del CESCOND, shadow presso uno studio legale in Roma, blogger e responsabile di rubrica per una rivista della Maggioli editore.
Nessuna norma disciplina nel dettaglio le modalità di svolgimento delle verifiche. Eppure, è ragionevole ritenere che lo studente debba essere posto in condizione di riferire serenamente sugli argomenti di studio, presentando al docente le proprie conoscenze e competenze nell’ambito di una rilevazione equa ed imparziale.
Le modalità di svolgimento sono sostanzialmente rimesse alla discrezionalità del docente, cui è affidato il compito di organizzare attivamente la didattica e distribuire i momenti di esame degli studenti. Questo non significa, tuttavia, che il docente possa adottare metodi sperimentali di verifica esulanti dal rispetto dei necessari principi di efficacia, utilità e completezza della rilevazione.
L’autonomia professionale nella valutazione non può quindi degenerare in “arbitrio” discriminatorio o in prassi distorsive. La verifica a mezzo di domande intermittenti e distanziate potrebbe effettivamente sfociare in esiti ondivaghi, sulla cui attendibilità si possono nutrire ragionevoli dubbi. Anche e soprattutto in relazione all’utilizzo di una scala di valutazione con soli tre scaglioni (“più”, “meno” ed il neutro “più-meno”).
L’unica disposizione di legge che disciplina nello specifico l’attribuzione dei voti è l’art. 79 del R.D. 653/1925 (come può ben vedere molto risalente nel tempo, ma tuttora di grande risonanza).
“I voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni ”.
È ragionevole affermare che per poter esprimere consapevolmente il proprio giudizio, il docente non possa prescindere da “interrogazioni” ed “esercizi”. L’attribuzione del voto, ne deriva, deve essenzialmente basarsi sulle modalità classiche di rilevazione. La norma non parla di modalità “sperimentali” diverse, ma possiamo ritenere abbiano “cittadinanza condizionata” nel nostro ordinamento: possono essere usate come surplus, come strumento integrativo di verifica, senza sostituirsi al colloquio ed alla prova scritta.
Un ulteriore, ed ancor più critico, profilo, attiene alla scala di valutazione. La normativa di settore e la quasi totalità delle regolamentazioni interne dei singoli istituti tendono a garantire una valutazione il più possibile completa ed esaustiva, nella forma di un voto numerico in decimi (e, nella prassi più comune, frazioni di decimo) e, spesso, di un corrispondente giudizio sintetico.
Sì, una scala di valutazione con sole tre alternative e senza giudizio, appiattisce la valutazione e nuoce gravemente al diritto dello studente di comprendere le proprie aree di debolezza per poter implementare le proprie competenze. Non rende, inoltre, un’idea complessiva delle capacità e delle conoscenze dell’alunno, nonché della sua abilità nel sostenere un colloquio orale sulle tematiche di studio. È una modalità fallace, distorsiva e fortemente sconsigliabile.
Quindi, il docente porre domande intermittenti agli alunni e desumerne elementi di valutazione integrativa, ma per esprimere un “congruo” giudizio finale, deve necessariamente sottoporli ad interrogazione ed esercizi con l’assegnazione di un voto in decimi e di un giudizio.
Solitamente, una posizione netta sul “quomodo” delle verifiche è assunta dal Piano dell’Offerta Formativa, un documento prodotto in autonomia da ogni Istituto. Le consiglio di richiedere copia del P.O.F. dell’istituto e verificare quali direttive siano impartite ai docenti in merito allo svolgimento delle verifiche orali.
In generale, lo Statuto dei diritti degli Studenti e delle Studentesse prescrive che si istauri, tra alunni, docenti e dirigenti scolastici, un “dialogo costruttivo” tanto sugli obiettivi formativi quanto sulle valutazioni.
Un primo approccio potrebbe quindi sostanziarsi nel rivolgersi al docente, presentando le proprie preoccupazioni ed, eventualmente, menzionando le direttive del P.O.F. e la normativa citata. Se la richiesta di adeguarsi a metodi di verifica più tradizionale non dovesse essere accolta, può rivolgersi al Dirigente Scolastico e/o al Consiglio di Classe, perché siano informati dell’eventualità inadeguatezza della valutazione elaborata sulla base di “domande saltuarie”.
Passiamo ora ad i rimedi più “drastici”, sconsigliabili per la complessità ed il rischio di un esito infausto. La legge dispone espressamente che il voto finale al termine dell’anno scolastico sia attribuito dal Consiglio di Classe sulla base di “un congruo numero di verifiche”. Nel caso in cui suddetto voto sia invece conseguenza di una valutazione inadeguata (e così nelle degenerazioni più gravi del caso di specie), lo studente può ricorrere innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale chiedendo l’annullamento del corrispondente provvedimento amministrativo e l’accertamento del vizio. Mancherebbe infatti la “congruità” del numero, non essendo state svolte in numero adeguato vere e proprie verifiche stricto sensu.