La verbalizzazione del Consiglio di classe nello scrutinio finale

 

Secondo una consolidata giurisprudenza il verbale di un organo collegiale è un atto attestante l’avvenuta attività dell’organo,“è requisito sostanziale della stessa, ossia richiesto per la stessa esistenza di detta attività e non è sostituibile da altri elementi di prova, ancorché racchiusi in un atto scritto che abbia una funzione diversa da quella documentante ovvero da presunzioni di indizi”(Consiglio di Stato, n.1113 del 18/12/1992); esso rappresenta, allo stesso modo che in tutti gli altri organi collegiali della scuola, l’elemento materiale in grado di provare la manifestazione della volontà dell’organo, in questo caso quella del Consiglio di classe, il quale in sede di scrutinio finale d’esame, deve funzionare anzitutto come collegio perfetto.

– Verbale e delibera

Il verbale va rigorosamente distinto dalla delibera perché esso si identifica quale strumento in grado di accertare l’iter dell’organo in tutte le fasi della sua attività: dalla proposta alla discussione sino alla deliberazione; quest’ultima, al contrario, ne sostanzia le decisioni intraprese, diventando nella fattispecie una sorta di esternazione attiva e potenziale delle decisioni assunte dall’organo in parola. Il Consiglio di Stato, nella sentenza n.6208 dell’11 dicembre 2001, sulla distinzione tra delibera e verbale ha aggiunto che non bisogna confondere i due momenti, perché la manifestazione di volontà costituisce il contenuto della deliberazione e la verbalizzazione riproduce tale estrinsecazione attestandone l’esistenza. La deliberazione avrà quindi l’onere di documentare tutta la procedura di valutazione compiuta dal Consiglio di classe, ai fini dell’ammissione o meno alla classe successiva o all’esame di Stato. Non v’è dubbio che in essa dovranno comparire tutti quegli elementi ritenuti essenziali affinché non si possa asserire che l’atto valutativo sia carente di motivazione, non rispetti i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione. Tuttavia per poter adempiere a questi fondamenti, connaturati in via generale in ogni attività amministrativa, è bene seguire alcune regole, sia di forma che di sostanza, onde evitare che la deliberazione, prodotto intrinseco al verbale, sia generata in maniera illogica e non confacente ai canoni dettati dalla normativa in parola. In conformità all’art.5 del D.Lgs. n.297 del 1994 le sedute del Consiglio di classe sono verbalizzate da un segretario, funzione attribuita dal dirigente scolastico, a uno dei docenti membro del Consiglio stesso.

– Quella collegialità perfetta

In primis gli aspetti formali da osservare riguardano la composizione del suddetto organo; in tema di valutazione, vige quanto espresso dal comma 7 dell’art.5 del D.Lgs. n.297 del 1994negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, le competenze relative alla valutazione periodica e finale degli alunni spettano al consiglio di classe con la sola presenza dei docenti”. Anche l’articolo 193 del decreto succitato ribadisce questo principio della interezza del consiglio durante gli scrutini finali di promozione, infatti aggiunge: “I voti di profitto e di condotta degli alunni, ai fini della promozione alle classi successive alla prima, sono deliberati dal consiglio di classe al termine delle lezioni, con la sola presenza dei docenti”.

Nel caso della valutazione, trattandosi di collegio perfetto come meglio di seguito chiarito, è richiesta la presenza di tutti membri, pena l’invalidità della delibera. Tra l’altro in caso di votazione non è possibile neanche astenersi dalla suddetta. Su questo principio della presenza integrale di tutti i componenti e dunque della collegialità perfetta la giurisprudenza amministrativa si è espressa in molteplici occasioni, non da ultimo in una sentenza del TAR Lazio, la n.31634 del 2010 ove il giudice, in occasione di un ricorso in cui il ricorrente richiedeva l’annullamento del provvedimento di non ammissione alla classe successiva di un alunno, ha ripreso tutti i criteri procedurali a cui il Consiglio di classe deve attenersi nell’esercizio della sua funzione; si legge infatti nella sentenza che “secondo la vigente normativa sugli organi collegiali della scuola, il Docente ha la competenza per la valutazione in itinere degli apprendimenti dell’alunno in riferimento alla propria materia, mentre l’Organo collegiale competente per la valutazione periodica e finale dell’attività didattica e degli apprendimenti dell’alunno è il Consiglio di classe con la presenza della sola componente docente nella sua interezza. Dispongono in proposito gli articoli 5, comma 7, e 193, comma 1, del D.Lgs. 16.04.1994, n. 297, che (art. 5 c.7) negli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, le competenze relative alla valutazione periodica e finale degli alunni spettano al consiglio di classe con la sola presenza dei docenti, e che (art. 193 c.1) i voti di profitto e di condotta degli alunni, ai fini della promozione alle classi successive alla prima, sono deliberati dal consiglio di classe al termine delle lezioni, con la sola presenza dei docenti. Il Consiglio di classe, costituito da tutti i Docenti della classe, è presieduto dal Dirigente scolastico. Nell’attività valutativa opera come un Collegio perfetto e come tale deve operare con la partecipazione di tutti i suoi componenti, essendo richiesto il quorum integrale nei collegi con funzioni giudicatrici. Nel caso in cui un docente sia impedito a partecipare per motivi giustificati il Dirigente scolastico deve affidare l’incarico di sostituirlo ad un altro docente della stessa materia in servizio presso la stessa scuola. Il Dirigente scolastico può delegare la presidenza del Consiglio ad un Docente che faccia parte dello stesso Organo collegiale. La delega a presiedere il Consiglio deve risultare da provvedimento scritto (è sufficiente l’indicazione anche nell’atto di convocazione dell’Organo) e deve essere inserita a verbale”.

– Quell’iter procedurale corretto

In sede di scrutinio finale, il processo di valutazione di ammissione o meno alla classe successiva di un alunno, per essere corretto nella forma e nella sostanza, deve potersi fregiare del più alto senso di collegialità, esternata nella sua delibera, incarnazione diretta della volontà dell’organo, che non può esimersi dall’essere debitamente motivata e circostanziata in ogni sua fattispecie.

Il Consiglio di classe esprime valutazioni di profitto e di comportamento che diventano insindacabili qualora “siano state rispettate le regole formali del procedimento” e nel caso in cui “coloro che hanno espresso il giudizio hanno valutato tutti i dati obiettivi secondo le indicazioni fornite dalla disciplina applicabile, poiché oltre tale limite, si apre un’area esclusivamente interessata da apprezzamenti di valore che, non essendo disciplinata da norme di diritto, non è sindacabile in sede di legittimità (Consiglio di Stato n.4154 del 2002).
Spetta, infatti a tutti i componenti del Consiglio, proporre un voto, discutere tale voto e sulla base della discussione deliberare quanto deciso. Pertanto la mancanza nel verbale del processo logico-valutativo, seguito per ogni singolo alunno, indicando i voti delle discipline, la presenza di carenze formative o l’espressione della valutazione comportamentale, potrebbero essere indizi per ritenere il provvedimento adottato carente di motivazione.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 3187 del 1997, accoglieva il ricorso degli appellanti genitori di un alunno che avevano lamentato, in prima istanza, dinanzi al TAR, proprio la insufficiente motivazione addotta dal Consiglio di classe in sede di valutazione finale; anzi il Collegio appellato si esprimeva sul fatto che l’organo in parola, ovvero il Consiglio di classe, avesse deliberato la non promozione di alcuni alunni con un giudizio unico. Si riporta uno stralcio della sentenza da cui è facile evincere come il giudice contrassegni negativamente le limitate motivazioni circa la decisione espressa di non ammissione alla classe successiva: “il Consiglio predetto – come evidenziato nella sentenza in epigrafe – avrebbe dovuto nella specie articolare meglio la formulazione della motivazione, in modo tale da esternare, per ciascuno dei non ammessi alla classe successiva, le concrete e individuali ragioni che giustificassero il rispettivo giudizio negativo; e ciò ancor più dal momento che il Preside aveva invitato già, come si è detto, i componenti del collegio ad effettuare singolarmente la valutazione riferita ad ogni studente”. Più avanti, il giudice invoca per l’alunno in questione che “la motivazione del suo insuccesso scolastico si sarebbe dovuta esternare ancor più dettagliatamente e, comunque, a lui riferirsi singolarmente”. Anche il TAR del Lazio nella sentenza n. 31203 del 2010 ha fatto notare questa carenza nella motivazione del provvedimento accogliendo il ricorso dei ricorrenti: “L’atto impugnato pertanto risulta quanto mai generico ed incongruo posto che nella specie si limita a sostenere la mancata ammissione alla classe successiva “… al fine di permettergli di consolidare le conoscenze e le competenze di base nelle discipline nelle quali ha manifestato maggiori difficoltà …” . Ciò sta ad indicare come il giudizio di non promozione sia carente di motivazione nella misura in cui non evidenzia con compiutezza le ragioni del suo iter logico. Sulla base delle suesposte considerazioni il ricorso va accolto e per l’effetto il giudizio finale di non promozione impugnato va annullato per violazione di legge, per difetto di motivazione, salvi restando gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione”.

La giustificazione del provvedimento trova peraltro sostegno anche nella sentenza del TAR Calabria-Catanzaro, n.514 del 2008 nella quale si afferma che “ogni valutazione deve essere seguita collegialmente, dopo approfondito e puntuale esame per ciascun alunno, sulla base dei giudizi analitici dei docenti delle discipline di insegnamento. Ciò, anche perché ciascun allievo percorre un proprio iter, soggetto a valutazione finale complessiva, e, quindi la situazione didattica di un alunno non può essere comparata con quella di altri soggetti. L’autonoma valutazione di un alunno esige un processo di formazione della volontà che sia relazionato a verbale, in specie quando, durante la seduta si perviene alla delibera attraverso una votazione a maggioranza. In suddetta ipotesi è indispensabile che dal verbale emergano elementi in grado di sostenere quanto deciso. Il giudice nella stessa sentenza esprime che “le ragioni della non ammissione possono essere normalmente desumersi dai verbali del consiglio di classe, integrati dalla documentazione ufficiale (registri e pagelle), da cui risultano l’intero svolgersi dell’anno scolastico nonché i profitti e la condotta degli allievi”.

Il principio di trasparenza della pubblica amministrazione richiede che ogni singolo alunno sia quindi scrutinato dando particolare rilievo alla sua situazione soggettiva. La sentenza n.514/2008 sopra citata, afferma questo concetto che la valutazione debba svolgersi indistintamente per ciascun alunno, considerando tutto il percorso da lui compiuto. Tale presupposto trova fondamento anche nella normativa vigente sulla valutazione ossia nell’art.3 comma 2 del D.P.R. n.122 del 2009 e, ancor prima, nell’art.193 del D.Lgs. n.297 del 1994: nel primo dispositivo si parla di ammissione all’esame di Stato disposta “nei confronti dell’alunno che ha conseguito una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l’attribuzione di un unico voto” nel secondo si rinviene che “la promozione è conferita agli alunni che abbiano ottenuto voto non inferiore ai sei decimi in ciascuna disciplina o in ciascun gruppo di discipline”.

Risulta evidente che il processo di valutazione, esperito dal Consiglio di classe non può esaurirsi in una mera elevazione delle insufficienze a sei, eventualmente riportate dagli allievi, ma deve al contrario, potersi rintracciare a verbale la motivazione che ha indotto detto consiglio ad una assegnazione di voti, superiore a quanto effettivamente meritato dal singolo alunno. Resta fermo il fatto che il Consiglio di classe, come ribadito nella sentenza del TAR Lombardia n.2330 del 2011, “può discrezionalmente decidere di far transitare al livello superiore l’alunno” che ha riportato una media inferiore al sei. Tuttavia tale previsione derogatoria avviene su decisione del Consiglio che deve darne debita motivazione, giustificando le decisioni adottate, che avranno sempre relazioni dirette con il percorso personale compiuto da ciascun alunno, con le sue capacità e potenzialità di recupero.

Si rammenta che l’antesignano Regio Decreto n.653 del 1925, all’art 79 dispone: “i voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni. Se non siavi dissenso, i voti in tal modo proposti s’intendono approvati; altrimenti le deliberazioni sono adottate a maggioranza, e, in caso di parità, prevale il voto del presidente”. Pertanto, come richiesto nel suddetto articolo, se il docente assegna il voto con giudizio motivato e sottoscritto a verbale, è anche vero il contrario, cioè che il miglioramento di un giudizio, nei confronti di un alunno che ha riportato notevoli insufficienze sia debitamente segnato a verbale. Infatti, in mancanza di tale indicazione, il verbale sarebbe incompleto perché non riferirebbe esattamente, nella realtà, le situazioni di fatto sopravvenute durante la discussione. E di questo ne potrebbe rispondere non solo il Presidente, garante della legittimità, ma anche il segretario del suddetto verbale. Ricordiamo che tali figure sono tenuti a sottoscriverlo ed in questa occasione il segretario riveste la figura di pubblico ufficiale chiamato quindi a far fede fino a querela di falso ex art.2700 del codice civile. La motivazione del provvedimento ex art.3 della Legge n.241 del 1990 trova al riguardo un terreno fertile e le decisioni dall’organo, sottoscritte a verbale, sono strumenti di prova per dimostrare l’esistenza dell’avvenuta discussione sul profitto dell’alunno.

Seguendo questa procedura di esternare a verbale, le motivazioni addotte dal Consiglio, si evita il rischio di cadere in una illogicità manifesta e si rende meno intaccabile quel principio dell’insindacabilità dell’organo che svolge un’attività giudicatrice; a sostegno si riporta un passo della sentenza n.514 del 2008 va premesso che, nell’ambito dei giudizi scolastici, il sindacato del giudice amministrativo deve tendere ad accertare se siano state rispettate le regole formali del procedimento e se coloro che hanno espresso il giudizio hanno valutato tutti i dati obiettivi secondo le indicazioni fornite dalla disciplina applicabile, poiché, oltre tale limite, si apre un’area esclusivamente interessata da apprezzamenti di valore che, non essendo disciplinata da norme di diritto, non è sindacabile in sede di legittimità (conf.: Cons. Stato, sez. VI, 12 agosto 2002, n. 4154). Spetta, infatti, esclusivamente al Consiglio di classe giudicare se le lacune di un alunno siano tali da dover essere ritenute molto gravi, al punto da costituire un serio impedimento per la prosecuzione degli studi. Invero, la valutazione del predetto organo costituisce l’espressione di un giudizio, frutto di un apprezzamento discrezionale, di carattere tecnico-didattico, sulla preparazione degli alunni stessi, non sindacabile se non in presenza di evidenti illogicità (Cons. St., sez. VI, 12 gennaio 2000, n. 213; TAR Sicilia, Palermo, 25 ottobre 1997, n. 1658 e TAR Liguria 14 febbraio 1997, n. 34).

– Quella motivazione espressione di un’unica volontà

Tuttavia, in ordine al principio di dettagliata motivazione espressa a verbale, è convenevole a questo punto anche richiamare che la stessa sentenza del TAR Lombardia n. 2330 del 2011 ha chiarito che non è per nulla condivisibile la richiesta dei ricorrenti a giudizio, contro la non ammissione di un alunno, nella parte in cui non erano stati indicati a verbale i voti favorevoli e contro; il giudice così si esprime: “per ciò che concerne l’indicazione dei docenti che si sono espressi a favore e contro la decisione assunta dall’organo collegiale, ritiene il Collegio che nei verbali delle deliberazioni di scrutinio dei consigli di classe tale indicazione non sia necessaria, in quanto l’attestazione che in favore della decisione finale si è espressa la maggioranza dei docenti costituisce elemento di per sé sufficiente per apprezzare la legittimità della deliberazione assunta dall’organo”. In questa situazione vale quindi menzionare a verbale che la votazione di ammissione o non di un alunno sia avvenuta a maggioranza. Pur premettendo che nel verbale, per non arrecare vizi di sostanza, debba essere facilmente individuabile tutto l’iter logico-valutativo condotto dal Consiglio di classe, avendo cura di far emergere che al dispositivo della votazione a maggioranza, si è pervenuti allo scopo di giungere ad una decisione, dopo aver discusso sulla questione, tutt’al più se le posizioni cui il Consiglio è arrivato, sono differenti e tali da non permettere di ricostruire il dibattito avvenuto e la posizione assunta dell’organo.

La verbalizzazione nello scrutinio di ammissione all’esame finale richiede dunque il rispetto di alcuni principi ineludibili e soprattutto di motivazioni congrue e puntualizzanti le decisioni assunte; la motivazione è l’anello saliente della delibera e quello che può, in caso di contenzioso, salvare l’assioma della insindacabilità dell’organo collegiale nella espressione del suo apprezzamento discrezionale e tecnico-didattico. Ad aggiungere anche gli obblighi di trasparenza e di buon andamento dell’azione amministrativa.

Katjuscia Pitino