Il MIUR ha violato l’art. 45 TFUE e l’art. 13 della dir. europea n° 36/2005.
Di particolare importanza la pronuncia della Sesta Sezione del Consiglio di Stato n. 4825 del 9 luglio 2020 di accoglimento dell’appello patrocinato dall’Avv. Maurizio Danza del Foro di Roma, a favore di 500 abilitati all’insegnamento in Romania.
In particolare l’appello era stato presentato per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio per l’annullamento dell’ avviso MIUR n. 5636/2019 , dei decreti di rigetto delle istanze dei ricorrenti finalizzate al riconoscimento della abilitazione conseguita in Romania nella parte in cui il MIUR assumeva che i titoli denominati “Nivel I e Nivel II” conseguiti dai cittadini italiani in Romania, non soddisfacevano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE .
Con tale appello la difesa aveva impugnato altresì i decreti di depennamento e di avvio del procedimento di esclusione dei ricorrenti dalle procedure concorsuali riservate di cui al D.D.G. n.85/2018, disposti dagli Uffici Scolastici Regionali sulla base dell’avviso n 5636 del 2 aprile 2019.
Contrariamente a quanto disposto dal TAR Lazio sez III BIS con la sentenza n°11774/2019, il Collegio della Sez.VI del Consiglio di Stato con sentenza n.4825 del 9 luglio 2020-pubblicata in data 29 luglio) ha accolto l’appello dell’AVV. MAURIZIO DANZA, confermando sostanzialmente l’orientamento già intrapreso, e stigmatizzando il corto circuito logico del MIUR , “ derivante dalla impostazione seguita dal Ministero che, accedendo alla posizione valevole per lo stato romeno, ha escluso la rilevanza della formazione in Italia ai fini dell’abilitazione all’insegnamento in quella nazione, fondamentalmente si finiva per escludere la rilevanza delle lauree italiane nell’ambito del territorio”.
Secondo il Consiglio di Stato, il MIUR ha palesemente disatteso altresì le norme della Direttiva Europea n°36/2005 avendo l’obbligo di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, sulla base di un principio già espresso dalla Corte di Giustizia europea ” (CGUE, III , 6 dicembre 2018 , n. 675), residuando solo il potere di verificare “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno.
Va condivisa pienamente la motivazione della sentenza di appello–così l’Avv. Maurizio Danza Docente di Diritto del Lavoro presso Universitas Mercatorum, nella parte in cui nel riconoscere la tutela del diritto alla piena mobilità delle professioni in ambito europeo, ha ritenuto che il MIUR abbia violato l’art.13 della Direttiva Europea n°36/2005 , atteso che “ a fronte della sussistenza in capo all’odierno appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, i presupposti per il contestato diniego non possono fondarsi sull’automatismo indicato dal Ministero che dovrà invece pronunciarsi in termini concreti, tramite la verifica della formazione conseguita, come sopra ricordato.